Ammainata la bandiera dei confederati

GLI STATI (UNITI) DEL SUD FANNO I CONTI CON LA STORIA

di Davide Agnesi e Mattia Sette

Dal 1894 sino al 2020 la bandiera confederata, simbolo degli Stati Secessionisti del Sud, ha sventolato sui palazzi governativi di Jackson, capitale dello stato del Mississippi.  Solo nel giugno dello scorso anno, il Parlamento Statale ha votato per rimuovere il simbolo e il governatore Reeves ha ratificato tale rimozione.

Il cambiamento era già stato proposto nel 2001 con un referendum bocciato però dal 64% dei votanti. La questione è riemersa in seguito alle manifestazioni seguite alla morte di George Floyd per mano di un agente di polizia. Questa volta però il risultato è stato ben diverso perché, dopo l’approvazione in Parlamento, la “palla” è passata agli elettori che il 3 novembre hanno approvato la nuova bandiera con il 73% dei votanti favorevoli.

Questo non è un caso isolato. Fino al 2000 la bandiera confederata aveva sventolato anche in cima al Parlamento del South Carolina, il primo Stato che nel 1860 aveva dichiarato la propria secessione dagli Stati Uniti, accanto a quella statale e naturalmente a  quella dell’Unione. Una legge l’ha poi spostata in un edificio nei pressi del Parlamento dove è rimasta fino al 2015 quando è stata ammainata definitivamente in seguito al tragico massacro di Charleston in cui un suprematista bianco aveva ucciso nove afroamericani. Lo stesso evento aveva spinto il governatore dell’Alabama a ordinare la rimozione di tutte le bandiere confederate dal Memoriale di Montgomery.

In tutti questi casi un evento tragico e le sue conseguenze hanno spinto l’opinione pubblica a fare i conti con la storia. Ma sono passati ben più di cento anni, perché così tanto? La risposta è abbastanza semplice: fino a qualche decennio fa molti bianchi del Sud hanno difeso i simboli Confederati, come la bandiera, in quanto nostalgici del “Vecchio Sud”. Essa rappresentava la lotta intrapresa dai loro antenati, il sangue da loro versato sul campo di battaglia, e non odio e razzismo. Analoghe argomentazioni sono state portate a supporto delle critiche avanzate contro la rimozione della vecchia bandiera del Mississippi. Uno dei più fieri oppositori è stato il senatore Chris McDaniel: a suo dire tale rimozione avrebbe rappresentato un pericoloso precedente di cancellazione della Storia. Alle obiezioni del senatore si è subito associata la totale disapprovazione di Organizzazioni come la “Divisione dei Figli dei Veterani Confederati del Mississippi”. Per capirne le motivazioni si deve tornare alla Guerra civile del 1861-1865. Il conflitto è stato combattuto nel Sud in seguito alla secessione di 11 Stati e ha visto devastazioni, stragi, saccheggi in cui è stata coinvolta tutta la popolazione civile. Oltre alla sconfitta, il Sud ha dovuto anche subire l’occupazione militare federale che ha esacerbato i già profondamente segnati animi dei secessionisti. Da ciò ne è conseguito un fiero attaccamento ai simboli confederati e un’idealizzazione della guerra civile paragonata per importanza solo alla rivoluzione americana, ovvero alla lotta per la libertà, l’indipendenza e l’autogoverno. Il Nord e il Congresso adottarono inoltre una politica punitiva verso il Sud che da allora fu visto come un corpo estraneo agli Stati Uniti, radicalizzando l’attaccamento al suo passato. Sia la guerra che i suoi simboli sono entrati a far parte dell’identità culturale del Sud e i suoi abitanti si sono rifiutati per più di un secolo di rimuovere i segni della loro diversità. Leggendo la storia si comprendono le ragioni di questo attaccamento e il rifiuto orgoglioso di rimuoverli, non tanto dai libri quanto dalle bandiere, dai Parlamenti e dai memoriali. E per far cambiare le cose nel  Vecchio Sud si sono dovuti verificare eventi drammatici di portata nazionale che hanno scosso profondamente l’opinione pubblica.

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