Autonomia, spartizione, retorica

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Il disegno di legge sull'Autonomia differenziata è stato approvato dal Senato

di Massimo Lodi

L’autonomia differenziata, vantaggio o danno? Discussione aperta. Sulla carta, una buona idea. Nei fatti, chi lo sa. Circolano ovvietà. La prima: se una regione è virtuosa, perché impedirle d’esserlo ancora di più a vantaggio di chi vi abita? La seconda: se nel Paese il gap tra territori ricchi e territori poveri si amplia, che Paese rimane? La terza: si crede davvero a una riorganizzazione dello Stato in chiave pseudo-federalista o trattasi invece d’opportunismo politico?

Ecco, il punto vero sembra quest’ultimo. Il decentramento di poteri da Roma alle periferie è oggetto di contesa da quando all’orizzonte comparve la Lega di Bossi. Di lì in poi il rincorrersi tra destra e sinistra per conquistare il favore popolare sul tema ha prodotto confusione e danni. La sinistra che oggi grida allo SpaccaItalia è la sinistra cui se ne deve l’innesco, quando modificò il titolo V della Costituzione in una vigilia di voto che temeva avverso. La destra che oggi proclama l’aggiudicazione d’un verdetto storico è la destra sospettabile di mercanteggiamento in vista delle elezioni europee e del prosieguo di legislatura.

Sorge naturaliter il dubbio che se Fratelli d’Italia s’intesta il premierato e Forza Italia la riforma della giustizia, la Lega s’intesti l’autonomia allo scopo principale di preservare il proprio bacino di consenso dai saccheggiamenti altrui. Si chiama real-governismo: una bandierina a te, una a me. Poi vedremo. D’altra parte che non si abbia a che fare con autocertezze granitiche, lo dice la storia: dieci anni fa la Meloni non voleva sentir parlare di regionalismo, il peggiore dei mali. Né ai predecessori di Salvini passava per la mente di sostenere l’idea d’un presidente del Consiglio investito di potere forte. E da entrambi i temi Berlusconi, da disincantato post-democristiano ammantato di liberalsocialismo, aveva preferito rimanere alla larga: parole in qualche caso accondiscendenti, mai decisioni risolutive. Anche quando i numeri per assumerle non mancavano.

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Massimo Lodi

Perciò con ragioni plausibili s’ipotizza questa spartizione: una manovra utile a tenere insieme il centrodestra, a fornire a ciascuno dei tre leader l’argomento buono di differenziazione (ops) propagandistica dai sodali, a distrarre la patria-nazione da problemi/incertezze/paure/disagi che ogni giorno inquietano. Tuttavia non è con parole reboanti e proteste teatrali che il centrosinistra a sua volta colpevole d’aver fallito, in passato e ripetutamente, la rivoluzione riformista– può sperare d’ingaggiare una battaglia vittoriosa, sull’autonomia e sul resto. È con l’allestimento d’un fronte comune, con realizzabili controproposte, con informate mobilitazioni popolari, qualora fosse il caso. E probabilmente lo sarà, se gl’italiani verranno chiamati a dir la loro in un referendum. In più referendum. Ma la retorica non serve. Serve la pratica.

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