Il Psu di Matteotti in un saggio del giornalista Fabio Florindi

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Non è vero che l’Italia si arrese, o peggio, accondiscese al fascismo. Non è vero che la dittatura ebbe consenso se non quando controllò tutti i mezzi di comunicazione. Se l’Italia monarchica e liberale ha gravi e accertate responsabilità, vi fu chi invece combattè fino alla sopravvivenza. E’ il caso, fra gli altri, del Psu, il Partito socialista unitario.

Su questo periodo, sempre interessante nonostante l’ampia pubblicistica, si concentra Fabio Florindi che da giornalista qual è, con una scrittura chiara e precisa, si addentra – nel libro “La missione impossibile. Il Psu e la lotta al fascismo” della Fondazione Pietro Nenni – in un periodo oscuro della Storia rischiarato però da uomini che risultarono determinanti per la democrazia e la Repubblica italiana.

Il Psu ebbe appena quattro anni di vita, ma lascio un’impronta indelebile: nato il 4 ottobre del 1922 su iniziativa della corrente riformista di Turati, appena espulsa dal Psi, è stato il movimento più avversato e temuto dal fascismo: alle elezioni del 1924 il Pnf scriveva che il Psu era il partito da combattere “con il massimo rigore” e infatti, nel novembre del 1925, fu il primo ad essere sciolto da Mussolini. Rinascerà, poco dopo, con il nome di Partito socialista dei lavoratori italiani, ma verrà sciolto ancora assieme agli altri partiti l’anno seguente. Le ragioni per cui il fascismo mise nel mirino il Psu sono semplici. Al riformismo socialista si doveva la creazione delle cooperative, dei sindacati, di tutte le opere concrete realizzate a sostegno del proletariato.

Comunisti e massimalisti – questa la tesi dell’opera – predicavano la rivoluzione che avrebbe dovuto cancellare il capitalismo e azzerare le differenze, ma la concretezza non era il loro forte; mentre l’obiettivo dei riformisti era lavorare quotidianamente per un graduale miglioramento delle classi lavoratrici. Niente retorica o grandi proclami, dunque, ma realizzazioni concrete. Ecco perché i fascisti li temevano più di ogni altro avversario.

Il volume è edito da Arcadia Edizioni (176 pagine) ed è  prenotabile in copia cartacea nelle librerie (14 euro)  o scaricabile come ebook sul sito www.arcadiaedizionilibri.it  (7 euro). L’autore, in maniera acuta o perlomeno onesta, non fa sconti: il  cammino del Psu, il cui segretario era Giacomo Matteotti, è tortuoso sin dagli inizi, schiacciato a destra dal fascismo e a sinistra dal bolscevismo dei socialisti massimalisti e dei comunisti che lo ritengono un “partito socialfascista”.

A distanza di quasi un secolo, fa impressione leggere i nomi degli aderenti: vi hanno militato i più grandi personaggi dei primi 70 anni del socialismo italiano: oltre a Matteotti (che ne fu il segretario fino al suo assassinio ), Filippo Turati, Claudio Treves, Giuseppe Emanuele Modigliani, Camillo Prampolini, Bruno Buozzi, Carlo Rosselli, Sandro Pertini e Giuseppe Saragat. L’unico dei grandi del socialismo dell’epoca a non essere iscritto al Psu era Pietro Nenni, che però dal Psi voleva l’unità dei due partiti. Alle elezioni del 1924, seppur falsate dalle violenze e dai brogli fascisti, il Psu raccolse ‘solo’ il 5,9% dei voti (al Psi e ai comunisti andò ancora peggio). Un risultato modesto, a cui però corrisponde un bagaglio di valori lasciato ai posteri che forse nessun partito italiano ha mai potuto vantare.

Punto di svolta drammatico della storia del Partito socialista unitario, e dell’Italia intera, è il delitto Matteotti del 10 giugno 1924. Dopo aver denunciato alla Camera appunto i brogli e le violenze con cui i fascisti avevano vinto le elezioni, il segretario del Psu viene rapito e ucciso da una banda al servizio del governo Mussolini. Le opposizioni, per protesta, salgono sull’Aventino, rifiutando di tornare a sedere in Parlamento finché non si fossero chiarite le responsabilità del governo.

Il Psu, a causa del ‘sacrificio’ del suo segretario, è il perno dell’indignazione che dal Parlamento si allarga a tutto il Paese. Mussolini e il fascismo, però, hanno la meglio. Arrivano, in un crescendo, una serie di leggi liberticide che sanciscono, nel giro di due anni, la fine ufficiale della democrazia e la vittoria del regime fascista. Ma non andrà tutto perso. Dopo il suo assassinio, Matteotti diventerà il simbolo della lotta contro il fascismo e per la riconquista della libertà, e il riformismo di Turati e della sua corrente sarà recuperato dopo il crollo del regime e diventerà uno dei pilastri della rinascita italiana nel dopoguerra.

Il saggio, comunque, non si concentra solo sulla lotta al fascismo. Evidenzia anche i principi e gli aspetti riformisti del Psu, a partire dall’idea che ne era alla base: il miglioramento, graduale ma costante, del tenore di vita degli ultimi. D’altra parte al riformismo socialista come detto si doveva la creazione delle cooperative, dei sindacati, di tutte le opere concrete realizzate a sostegno del proletariato. E questo il fascismo non poteva perdonarlo.

Florindi, nato nel 1981 a Pescara, giornalista, risiede a Milano, dove lavora dal 2008 per l’Agenzia Italia. Si è laureato nel 2004 in Filosofia all’Università di Bologna, con una tesi sul socialismo liberale di Carlo Rosselli e il liberalsocialismo di Guido Calogero. Ha iniziato subito dopo a lavorare per delle testate locali. Nel 2015 è stato pubblicato il suo libro ‘Mediolanum. Esplorazioni urbane nella Milano romana’ dalla casa editrice Informant.

Angela Bruno

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