Busto, tre carabinieri indagati: facevano favori alla criminalità gelese

busto carabinieri indagati

BUSTO ARSIZIO – Tre carabinieri “infedeli” nel mirino della giustizia: per l’accusa facevano favori alla criminalità gelese. Uno dei tre è deceduto poco tempo fa per cause naturali: per gli altri due la procura di Busto Arsizio ha chiesto il rinvio a giudizio. Entrambi prestavano servizio nella compagnia carabinieri bustocca: uno dei due è appena andato in pensione con evidenza pubblica sui giornali, l’altro è da poco stato trasferito senza incarichi specifici alla base Nato di Solbiate Olona.

L’omicidio di Matteo Mendola

 Tutto parte da un omicidio, quello di Matteo Mendola, giovane bustese di origini gelesi assassinato nel 2017 in provincia di Novara. La procura piemontese immediatamente intuisce che l’omicidio matura in un contesto bustese.  Vengono autorizzate le intercettazioni telefoniche per arrivare agli assassini di Mendola. E lo scenario che quelle conversazioni aprono agli inquirenti novaresi è del tutto inaspettato. Sono lunghe “chiacchierate” tra gli appartenenti al contesto criminale gelese (la comunità gelese a Busto è numerosa e al 90% composta da onesti cittadini, ma il 10% che sfugge al controllo è legato a ambiti mafiosi come dimostrano parecchie indagini quali, ad esempio, Tagli Pregiati, portata a compimento quasi 15 anni fa) e “carabinieri amici” che sono in grado di fornire informazioni utili. La procura di Novara, a questo punto, trasmette immediatamente il fascicolo a quella di Busto Arsizio. E’ il pubblico ministero Rosaria Stagnaro a farsi carico dell’inchiesta oggi arrivata a conclusione. L’inchiesta va avanti e permette di intercettare centinaia di contatti tra i tre carabinieri “infedeli” e gli esponenti della malavita gelese che operano in città.

La scorta al principe Emanuele Filiberto

Nel novero dei capi di imputazione contestati ai militari indagati ci sono “sciocchezze” quali l’utilizzo dell’auto di servizio per scopi privati, compreso l’accompagnare i famigliari sui luoghi di impegni privati. Secondo l’accusa i militari svolgevano anche un secondo lavoro. Alcune di queste “attività collaterali” erano in stretta collaborazione con i «malavitosi gelesi», si legge nel capo di imputazione. Uno dei carabinieri riparava e rivendeva telefoni cellulari e computer, un altro «svolgeva e ha svolto servizio di sicurezza ai componenti della famiglia reale, i Savoia», sempre come “secondo lavoro”: quasi un paradosso se si considera che un servitore dello Stato repubblicano presti servizio in favore della monarchia, per altro poi vantandosene su Facebook.

Informazioni riservate e mazzette

Il punto più grave, però, è un altro. Stando all’accusa, visto quello che appare un consolidato rapporto tra i carabinieri in questione (pochi, isolati, scovati e denunciati dagli stessi colleghi) e i malavitosi gelesi, è plausibile (anzi, per l’accusa “si ritiene”) che negli anni, visto il sodalizio, possa essersi delineata una strategia per “monitorare”, da parte dei malviventi, attraverso i militari indagati le operazioni di polizia sul territorio, di fatto minando l’efficacia dell’azione delle forze dell’ordine, ad esempio comunicando “a chi di dovere” in anticipo i controlli in corso, lo svolgimento dei servizi e gli spostamenti delle pattuglie. E c’erano le mazzette: durante l’indagine, stando a quanto accertato dagli inquirenti, sono state documentate alcune consegne di denaro da parte degli stessi gelesi.

«Sono malato». Invece era al mare

Poi ci sono le armi. Uno degli indagati, già trasferito da Busto nel 2017, aveva illecitamente acquistato pistola e munizioni appartenenti a un defunto dalla vedova del “caro estinto”. Lo stesso militare era già stato indagato nel 2015 per aver indebitamente utilizzato un Taser contro una donna all’interno di un bar. Anche allora procedette la procura di Busto Arsizio. E’ lo stesso brigadiere che ha svolto servizi di sicurezza per i componenti della famiglia reale, i Savoia, anche durante la recente manifestazione che tante polemiche ha sollevato a Busto Arsizio in relazione all’inaugurazione di piazza Vittorio Emanuele II. E non solo. Il militare è accusato di truffa ai danni dello Stato. Avrebbe finto una malattia, con permesso di 60 giorni (tutto pagato), salvo poi andare all’Isola d’Elba, godersi il mare, postare le foto su Facebook della vacanza frutto del finto malore e farsi intercettare mentre consiglia al cognato, pure lui carabiniere, di fare lo stesso. Il militare è pure accusato di aver falsificato numerosissimi ordini di servizio (fingeva di essere al lavoro ma si faceva i fatti suoi) inventandosi decine e decine di nominativi controllati come pezza giustificativa. Avrebbe inoltre intrattenuto rapporti stretti con alcuni giornalisti, passando loro notizie definite “alterate” dall’autorità giudiziaria.

Chiesto il rinvio a giudizio

L’altro carabiniere andava più sul classico, stando alle accuse. Fingeva di essere al lavoro mentre invece era a casa tranquillo. In una circostanza, addirittura, il militare, un maresciallo, compariva sul rapporto di un arresto in flagranza dove non si era mai palesato. Anche lui è accusato di aver falsificato decine e decine di ordini di servizio mai eseguiti. La procura di Busto ha chiesto per entrambi il rinvio a giudizio.

busto carabinieri indagati – MALPENSA24