Politica, populismo e dignità: scuole e pensiero di Del Debbio al Tessile di Busto

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Da sinistra a destra: Gigi Farioli, Paolo Del Debbio e Andrea Aliverti

BUSTO ARSIZIO – «Non ho scritto un trattatello di filosofia per tutti, ma per indurre il lettore a qualche ragionamento. Non posso passare una giornata senza pensare: se il cervello resta fermo sto male, e non vivo pienamente». Al Museo del Tessile di Busto Arsizio sono state “Le dieci cose che ho imparato dalla vita” di Paolo del Debbio a dare il via ieri, venerdì 18 febbraio, agli appuntamenti dell’Officina delle Idee 2.0, nuova associazione fondata dell’ex sindaco Gigi Farioli che, insieme ad Andrea Aliverti, giornalista di Malpensa24, ha dialogato con il conduttore della trasmissione Dritto e Rovescio riguardo al suo nuovo libro.

Non vivere e basta, ma anche pensare

«Quello che non ho mai smesso di fare è stato pensarci su. Non vivere e basta, ma anche pensarci». Come spiegato da Del Debbio, il filo conduttore di eventi, incontri e persone raccontati della sua ultima fatica letteraria è la formazione ricevuta in seminario, che frequentò dai a sedici ai diciotto anni: «Ho incontrato dei sacerdoti che nulla avevano a che fare con le schifezze che magari capita venire a sapere dalla cronaca. Erano molto in gamba e, prima di tutto, uomini. Mi insegnarono a meditare: mi davano un testo da leggere e poi dovevo stare per due ore in silenzio, a pensarci. Farlo sistematicamente, per tutti i santi giorni, rimane per sempre: nel mio libro ho perciò raccolto ciò che ho pensato delle esperienze fatte fino a sessantatré anni, quando è stato concepito lo scorso luglio».

L’intervento di Diego Cornacchia, ex presidente del consiglio comunale

Il monito del padre deportato a Buchenwald

Fondamentale è stato l’insegnamento del padre Velio, deportato nel campo di concentramento di Buchenwald durante la seconda guerra mondiale, e del suo amico Alfio, miracolosamente incontrato nello stesso lager. «Decisero che per tutta la prigionia, ogni mattina si sarebbero lavati e si sarebbero fatti la barba, anche con dieci gradi sotto zero e un frammento di specchio. Pur privati della libertà, difesero la loro dignità; di fronte ad aguzzini che, per nullificarli, li chiamavano con numeri al posto dei nomi, il peggio che si può fare a un essere umano. Qual’è il punto? Ho imparato che un uomo può essere piegato nel corpo e nell’anima, ma non nella sua dignità. Un monito che mi ha seguito tutta la vita: Gigi sa che mi aiutato a fare, a cuor leggero, anche scelte che costano».

Saper spiegare con termini semplici

Oltre alla famiglia e all’università, tra le “scuole” alla base della formazione del giornalista e saggista ce n’è stata una terza: «Frequentavo “Il Cavallino Bianco”, bar di Sant’Anna, quartiere di Lucca dove sono cresciuto che veniva chiamato “il Bronx”. In Toscana è tutto uno scherzo, un bombardamento di battute, per cui devi munirti di un bel carico di autoironia. Era un luogo che aveva anche i suoi riti di iniziazione: o sopravvivevi o diventavi un emarginato. Mi dicono che ho sempre la battuta pronta: non lo devo alla televisione, ma al bar. Lì ho imparato a stare tra le persone semplici, una scuola di vita anche senza parlare». Essere nel suo quartiere l’unico che studiava fece guadagnare al futuro docente dello Iulm il soprannome “Cultura”: «Non solo si aspettavano che sapessi tutto, ma dovevo anche spiegarlo in termini semplici, un fatto che mi è rimasto tutta la vita. Ora non ho nessuna difficoltà a spiegare a chiunque qualcosa di complicato in modo semplice».

Un patentino per la politica

Del Debbio, autore di “Populista e me ne vanto”, libro dal titolo volutamente provocatorio, ha voluto precisare: «In realtà il populismo appartiene a quei politici che abbindolano con soluzioni semplici ma irrealizzabili che durano, come dicono i francesi, l’espace d’un matin: ora è tutto volatile, basato sulla sensazione. Sono invece un populista, e me ne vanto, secondo la tradizione russa dell’Ottocento: ritengo che anche una persona ignorante, che non conosce tutti i processi della politica, possa legittimamente parlare dei suoi bisogni, dei suoi diritti e della sua dignità, soprattutto quando li vede negati».
L’anchorman di Dritto e Rovescio vorrebbe introdurre un patentino per chi vuole far parte della classe politica: «Tra le conoscenze richieste ci sarebbero grammatica e sintassi italiana, il testo della Costituzione, economia, per saper leggere il bilancio dello Stato, e un minimo di storia delle religioni. È un problema enorme che nei tre momenti peggiori del dopoguerra – 1992, 2011 e 2021 – non si sia saputo trovare un membro del Parlamento per fare il presidente del Consiglio, ma sia stato chiamato un tecnico, un esterno. Così come è stato indecente e volgare ciò si è visto per l’elezione del presidente della Repubblica, uno spettacolo che che gli italiani, dopo due anni di Covid, non si meritavano. È ora di voltare pagina: cosa dobbiamo aspettarci prima di cambiare struttura governativa?».

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Il dovere di essere competente

Quanto alla conduzione dei programmi televisivi, «dal 2012 – ha sottolineato Del Debbio – non ho mai cambiato la mia linea editoriale: non voglio far parlare i politici fra loro, ma con le persone che hanno i problemi. La politica è come una mongolfiera: se non le metti le zavorre prende il volo e va nei cieli astrali. Tutte le settimane vado nelle periferie e a provocare quattro volte la chiusura delle mie trasmissioni non è stata per forza una volontà dei governanti, ma di autorità più locali: non si potevano far vedere aree amministrate male. Io però non posso che continuare, perché altrimenti non avrei più credibilità».
In conclusione Farioli, dopo aver letto un passo del libro, ha ricordato «il dovere di essere competente: leggerezza non corrisponde a superficialità, così come semplicità non significa banalità. Oggi, a formare “il cerchio magico” di Silvio Berlusconi, sono vallette, false infermiere e igieniste dentali e non invece chi, come Paolo, ne stese il programma politico-culturale. L’Officina punta a un ritorno della meritocrazia per fare politica: essere dignitosi, essere sé stessi, questa è la polis».

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