Il No al referendum riunisce il fronte giovane del centrosinistra di Cardano

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CARDANO AL CAMPO – Da una parte Massimo Poliseno, figlio della compianta sindaca Laura Prati, attuale vicepresidente del consiglio comunale dopo essere stato il più votato alle Amministrative del 2019. Con la lista “Cardano è” ha raggiunto 315 preferenze: nessuno ha fatto meglio. Dall’altra Stefano Dozio, ex consigliere comunale, rimasto fuori per una manciata di consensi dal secondo mandato consecutivo. Nonostante i 194 voti personali, è il primo dei non eletti del gruppo “Progetto Cardano”. Divisi alle elezioni comunali dello scorso anno – frutto dell’inevitabile spaccatura del centrosinistra – hanno deciso di scrivere a quattro mani un comunicato, dando vita a un fronte compatto per il No al referendum del prossimo 20 e 21 settembre.

I risvolti locali

Al di là dell’appuntamento con le urne del prossimo weekend, l’iniziativa corale di Poliseno e Dozio ha risvolti interessanti anche sotto il profilo politico locale. Potrebbe trattarsi di una collaborazione estemporanea, così come potrebbe rappresentare il primo tentativo di riavvicinamento tra i due gruppi. Ai giovani l’arduo compito di superare i rancori personali della vecchia guardia per costruire un’unica proposta di centrosinistra alternativa alla Lega. A Cardano – e lo dimostra l’esperienza di Nuova Cardano Viva prima con Giancarlo e poi con Mario Aspesi – è sempre stata l’arma vincente. Voluto o meno, Dozio e Poliseno hanno compiuto il primo piccolo passo proprio in quella direzione.

Il No al referendum

Di seguito il comunicato congiunto firmato da Massimo Poliseno (Cardano è) e Stefano Dozio (Progetto Cardano):

Il prossimo weekend saremo chiamati ad esprimere la nostra opinione sulla riduzione dei parlamentari: in particolare dai 630 Deputati e 315 Senatori attuali si passerebbe rispettivamente a 400 Deputati e 200 Senatori. Si tratta di un nuovo referendum costituzionale il che significa che, non essendo previsto alcun quorum partecipativo, chi si recherà alle urne deciderà per tutti indipendentemente dall’affluenza. Il SI confermerebbe la riduzione dei parlamentari, mentre un NO la cancellerebbe.

Varie sono le ragioni che fanno apparire preferibile questa seconda opzione. Votare NO.

Si tratta di una riforma che ha effetto pressoché nullo sui due principali problemi che investono la nostra democrazia rappresentativa ossia l’inefficienza del parlamento e la disonestà e incompetenza di alcuni suoi membri – e addirittura negativo sulla rappresentatività delle nostre istituzioni.

La scarsa efficienza del Parlamento non è dovuta al numero dei suoi membri ma alla duplicazione delle procedure legislative causata dal fatto che Camera e Senato ad oggi svolgono esattamente le stesse funzioni ed ogni legge, per poter essere promulgata, deve necessariamente ricevere voto favorevole da parte di entrambe. Solo una riforma che modificasse questo meccanismo superando il cosiddetto “bicameralismo perfetto” – eliminando il Senato o modificandone in radice le funzioni – raggiungerebbe lo scopo di rendere più efficiente il Parlamento.

La riduzione del numero dei parlamentari non garantirebbe neppure l’onestà e la competenza degli stessi. A determinare la composizione del Parlamento, infatti, sono il voto degli elettori e le liste di candidati presentate dai partiti. Si tratta di aspetti su cui in parte può certamente incidere una nuova legge elettorale che consenta la possibilità di esprimere preferenze per i candidati presentati dai partiti – ma che per altro verso dipendono strettamente proprio da noi elettori.

È una nostra responsabilità, in qualità di cittadini-elettori, dover riconoscere e premiare le liste formate da candidati trasparenti e competenti – così da orientare i partiti nella formazione di liste di maggior qualità.

Su nessuno di questi aspetti ha effetto la riforma costituzionale che dovremo votare il 20 e 21 settembre.

Dal punto di vista della rappresentatività delle nostre istituzioni, la riforma apporta delle modifiche peggiorative per quanto riguarda la vicinanza tra Parlamento, territori e cittadini. Oggi vi sono 16 parlamentari ogni milione di abitanti, con la riforma scenderemmo a 10 parlamentari ogni milione di abitanti. Diventeremmo uno dei paesi con il più basso numero di parlamentari in rapporto alla popolazione complessiva. In sostanza il semplice taglio – senza una riforma elettorale ed una riforma del Senato che ne faccia una Camera rappresentativa dei territori – ridurrebbe solamente la rappresentanza dei territori in Parlamento.

In conclusione, dunque, abbiamo di fronte a noi una riforma populista, che si vorrebbe far passare a furor di popolo, ma che in realtà il popolo lo danneggia.

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