Una collega difende Cazzaniga: “I pazienti lo adoravano”

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SARONNO – In tribunale a Busto Arsizio c’è chi difende Leonardo Cazzaniga, l’ex vice primario del pronto soccorso di Saronno accusato della morte di 14 persone (11 pazienti e tre in ambito familiare). Le sue qualità professionali sono state evidenziate dalla collega dell’ospedale di Saronno, Priscilla Medri. La dottoressa, ascoltata nell’udienza di oggi, lunedì 16 luglio, del processo in corso a Busto, in qualità di testimone, ha sottolineato anche gli aspetti positivi del professionista. “Cazzaniga era un grande medico, i pazienti lo amavano, tanto che chiedevano sempre di lui. All’inizio ero quasi invidiosa. Con i pazienti aveva un’empatia invidiabile. Era bravo come medico e lo ammiravo molto”.

Un farmaco sospetto

Sono stati poi portati a galla altri elementi rispetto alla morte della madre di Laura Taroni, Maria Rita Clerici e del marito, Massimo Guerra. La Clerici morì il 4 gennaio del 2014: “Non ricordo con esattezza quando – ha detto la Medri in Corte d’Assise, presieduta dal giudice Renata Peragallo – forse qualche giorno prima del decesso. Leonardo Cazzaniga entrò nel laboratorio, mi disse che la mamma di Laura non stava bene e che avrebbe preso un antibiotico. Ho visto che in effetti aveva preso qualcosa, ma non ho fatto caso a quale fosse il farmaco. Non mi è sembrata una cosaimportante”.

Mai sentito del “protocollo Cazzaniga”

Rispetto all’esistenza del famigerato “Protocollo Cazzaniga”, la donna ha raccontato di non esserne mai venuta a conoscenza: “Non sapevo dell’esistenza del protocollo. A proposito del Lauria (Angelo Lauria è una delle presunte vittime di Cazzaniga, ndr) – ha raccontato – mi dissero che quando era entrato aveva dei buoni parametri, ma che successivamente era deceduto. Me lo raccontò una collega”.

L’allarme della cardiologa

E’ stato ascoltato anche un altro medico, Silvia Rogiani, cardiologo dell’ospedale di Saronno. Qui il discorso è tornato nuovamente sulla Taroni, già condannata a 30 anni di reclusione in abbreviato: “Nel 2011 – ha riferito in aula la cardiologa – eravamo in mensa e Laura mi chiese quale fosse il betabloccante più forte: disse che lo avrebbe messo nel pesto a Massimo”. Si tratta di farmaci che controllano la pressione arteriosa, riducendo la frequenza cardiaca. All’inizio il medico non diede peso a quella frase, vista come una battuta. Ma poi. dopo i nuovi accadimenti, cominciò a diventare sospettosa, in particolare dopo il ricovero a Saronno ad aprile. Dai riscontri del sangue emersero delle anomalie: “Furono individuati farmaci anomali, degli antidepressivi. Fare un certo tipo di collegamenti dopo quello che mi aveva detto Laura a proposito del pesto mi sembrava incredibile, una cosa più da film giallo, che reale. Gli chiesi se avesse preso dei farmaci, lui disse di no. La spiegazione che il paziente si diede fu di una esposizione ai pesticidi. A quel punto mi si accese un campanello e segnalai il fatto al mio responsabile”.

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