Chiusure, lo sfogo del ristoratore di Busto: «È accanimento. I ristori? Una mancia»

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BUSTO ARSIZIO – «I cosiddetti ristori promessi da Conte? Sono solo una mancia: con quello che ci spetta copriamo cinque giorni di mancati incassi». Lo sfogo di Enzo Bruzzese, ristoratore di Busto, titolare de “La Cornacchia e il Mosto” di via Cadore, che denuncia «l’accanimento» del governo contro la categoria. «Abbiamo rispettato le regole, ma ci costringono a chiudere la sera. Come se a mezzogiorno i contagi non si diffondono e alla sera invece sì, mentre le persone si possono assembrare in metropolitana, ma non stare tranquillamente seduti a cena al ristorante o al bar per l’aperitivo». Un controsenso, per Bruzzese, anche perché «il più 16% del PIL nel terzo trimestre del 2020 non è dovuto agli aiuti del governo, ma alla gente che lavora, che si è fatta un mazzo così per ripartire».

Accanimento contro i ristoranti

Non ce la fa, il ristoratore di Busto, a digerire il Dpcm entrato in vigore lunedì scorso, 26 ottobre. «Con un nuovo lockdown si va a colpire una categoria che ha fatto la sua parte – sostiene Enzo Bruzzese – il rischio di contagio nei ristoranti è minimo, diversamente dal trasporto pubblico, su cui non è stato fatto nessun adeguamento. Noi ristoratori abbiamo ridotto i posti a sedere del 35%, e ora con i tavoli da quattro di oltre il 50%. Abbiamo fatto investimenti, per igienizzare e sanificare, abbiamo chiesto prestiti in banca e utilizzato anche le nostre riserve personali per stringere la cinghia e superare questo anno difficile. Ma oggi come faccio a far fronte agli impegni presi con le banche, se il governo mi fa chiudere e mi compensa con una mancia che copre cinque giorni di mancati incassi?».

«I ristori? Una mancia»

I ristori non bastano. «Se inaspriscono le misure e decidono di farci chiudere del tutto, chiediamo di essere garantiti come chi sta al governo, categoria privilegiata – la provocazione del ristoratore – non possiamo pagare solo noi, chi lavora, il costo della pandemia, quando è chi ci governa che non ha fatto quel che doveva fare per evitare di arrivare in questa situazione. Eppure loro il 27 del mese portano a casa lo stipendio. Se ci chiudono, a fine mese dovrebbero coprirci i costi e darci uno stipendio fino a quando la situazione non tornerà alla normalità. Oppure fare come in Germania, dove i ristoranti in lockdown vengono compensati con il 75% del fatturato medio di novembre». Tirare avanti non è facile, senza gli incassi della sera e senza i ricevimenti del fine settimana: «Si va avanti pagando l’indispensabile. Utenze, affitti, personale di cui una parte in cassa integrazione – rivela Bruzzese – ma la situazione non può durare a lungo. Si può resistere un mese, poi molti porteranno i libri in tribunale. Vorrà dire che chiederemo anche noi il reddito di cittadinanza».

Stakanovisti

Nonostante tutto, la voglia di andare avanti supera la sabbia. «Siamo rimasti aperti ininterrottamente per quasi otto anni, solo il lockdown ci ha fermati, anche se siamo sempre rimasti a disposizione della nostra clientela per l’asporto» rivendica Enzo Bruzzese, che insieme al socio Fabio Cocco ha rilevato la gestione del ristorante di via Cadore nel 2012. Con la filosofia dell’apertura 7 giorni su 7, 365 giorni l’anno. «L’asporto però non porta utili, è solo un modo per mantenere i contatti con la clientela». Non ha protestato in piazza, Enzo Bruzzese, ma solo per rimanere nel suo locale. «Nessuno ci ascolta, come se il problema non esistesse, e nessuno interviene nonostante le manifestazioni – sottolinea – io penso anche allo stress che ci sta provocando questa situazione, che non ci fa dormire la notte, e penso ai colleghi che non ce l’hanno fatta e si sono tolti la vita, per la vergogna di non poter pagare fornitori e dipendenti. Ma rimango qui, dopo due anni di interventi alla gamba. Io non abbandono la nave come Schettino».

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