Come il covid ha cambiato le abitudini alla cultura

ANALISI | La tecnologia ci assiste, ma il mondo deve ripensare all'intero comparto del sapere

di Marta Mallamace

L’uomo è resiliente. La sua cultura plastica. Entrambi mutano in caso di necessità e oggi, a poco più di un anno dal primo lockdown, molte cose sono cambiate. Per fronteggiare l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo abbiamo dovuto reinventare nuovi modi di lavorare, studiare, informarci. Il virus ha fatto emergere alcuni gravi limiti del settore culturale, evidenziando come vi sia uno scarso riconoscimento del valore stesso della cultura. Parallelamente ci sta offrendo la possibilità di avere una nuova visione sistemica dell’intera area, necessaria ormai da tempo.

Uno degli attori principali di questo periodo è la tecnologia. Il virus diventa un incubatore di produzione culturale online, portando sempre più musei, esposizioni, archivi, biblioteche scientifiche ad “aprirsi” al pubblico virtualmente. Penetrando le mura domestiche attraverso i nostri dispositivi tecnologici, le istituzioni culturali affermano la propria presenza digitale, dimostrandosi in grado di fronteggiare le sfide che il nostro tempo ci (pro)pone. Le modalità sono tante e differenti: se stasera, annoiati sul vostro divano, sorgesse in voi il desiderio di fare qualcosa di diverso, potreste scegliere di visitare il giardino Sankei-en, paesaggio in stile tradizionale giapponese che si trova a Kanagawa, uno dei 18 quartieri della città di Yokohama. (https://artsandculture.google.com). Non siete mai stati al Louvre di Parigi? Intraprendete un tour simulato e percorrete le sale espositive del museo. Spostandovi a 360°, grazie ai potenti strumenti tecnologici, potrete soffermarvi sulle singole opere che il celebre spazio ospita (https://www.louvre.fr/en/online-tours). Così per il MoMa a New York, a Milano per la Pinacoteca di Brera o a Madrid per il museo del Prado. Per i più piccoli ci sono i laboratori online e il materiale scaricabile del Maxxi, museo d’arte contemporanea a Roma. Ce n’è per tutti e di ogni tipo.

Queste esperienze da “surrogati di presenza” non sono paragonabili alla realtà, alla quale speriamo di tornare il prima possibile. E’ però importante comprenderne il valore simbolico e l’apprezzabile tentativo di trasformare l’ambiente domestico in uno spazio di condivisione e arte, oltre che di lavoro e confinamento.
Anche il settore scolastico subisce dei drastici cambiamenti, infatti l’insegnamento universale per come lo conosciamo da più di due secoli è destinato a diventare qualcosa di diverso. Andranno ripensati gli spazi, i tempi, gli insegnamenti e i ruoli all’interno delle istituzioni.

Tutto questo necessita di una formazione reale e un’innovazione strutturale, entrambe volte a favorire la creazione di una strategia digitale collettiva, con un piano di sviluppo condiviso e nazionale. “Bisognerà investire non solo nell’innovazione tecnologica, ma anche nel capitale umano, formando le nuove generazioni a competenze ibride non scollate dalla realtà affinché, passata la fase assistenziale, il lavoro culturale possa trovare il riconoscimento e la dignità che merita. Se riusciremo in questo avremo operato una rivoluzione che consentirà alle generazioni future di vivere nella cultura, con la cultura e di cultura”. Estratto da “Patrimonio, attività e servizi culturali per lo sviluppo di attività e territori attraverso la pandemia” a cura di Pietro Petraroia.

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