«I Rolling Stones sono sanguisughe». Il Ry Cooder di Pedron a DuemilaLibri

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GALLARATE – Ry Cooder, autore della colonna sonora del film “Paris, Texas”, e fautore del progetto Buena Vista Social Club, è considerato tra i migliori chitarristi del mondo, capace di spaziare con successo tra innumerevoli generi musicali. Ieri, martedì 23 ottobre, Aldo Pedron, giornalista de “Il Mucchio Selvaggio” e “Buscadero”, ha presentato a Palazzo Borghi “Viaggiatore dei suoni”, volume sul musicista californiano. Intervistato dal giornalista Federico Delpiano, ha raccontato aneddoti e curiosità al pubblico di DuemilaLibri. In sala era presente anche Claudia Maria Mazzetti, assessore al Commercio di Gallarate.

Gli Stones, Wim Wenders e Ali Farka Touré

Pedron ha svelato particolari della vita di Ry Cooder, tanto schivo quanto «fenomenale» musicista californiano che, preferendo al surf i 78 giri dei vecchi bluesmen, acquisì una tale tecnica alla chitarra da risultare incomprensibile per Eric Clapton. Nato nel 1947 e cresciuto a Santa Monica, fu un’influenza fondamentale i Rolling Stones, che tuttavia definì “sanguisughe”: «Nel 1969, dopo averlo invitato a registrare un disco con loro, non combinarono nulla per tre settimane, mentre lui, messo in un angolo, se ne stette tutto il tempo a suonare da solo. Ma non sapeva che c’era un nastro in funzione che stava registrando tutto. Quando Keith Richard sentì quei pezzi in accordatura aperta in sol, gli si aprì un mondo. Riapparvero non accreditati a Cooder, infatti “Honky Tonk Woman” è stata più volte attribuita a lui». È anche famoso per la composizione di numerose colonne sonore di film. Per Walter Hill, Steven Spielberg, ma soprattutto Wim Wenders. «Il regista si presentò con “Paris, Texas” già pronto e lo incaricò di crearne l’accompagnamento entro tre giorni, e senza che avesse potuto vederlo. Ora però è inspiegabile vedere il film senza la musica di Ry Cooder». Stupefacente è stata anche la capacità di esplorare differenti stili musicali, compresi quelli di Paesi lontani. In tal senso, come ha raccontato Pedron, è rimasto nella storia l’incontro con Ali Farka Touré, a cui il chitarrista californiano dichiarò «Tu suoni un genere musicale abbastanza affine al mio, negli Stati Uniti è il blues». Ed ebbe come risposta: «Grazie per avermi detto il nome, qui in Africa l’abbiamo da duecento anni e ora sappiamo come chiamarlo». Ry Cooder non è stato solo un grande viaggiatore dei suoni, come riporta il titolo del libro, ma anche un grande arrangiatore: «Va detto che non ha mai scritto le sue canzoni degli Anni Sessanta, Settanta e Ottanta. Le ha pescate da bluesmen sconosciuti, sapendo dare loro nuova vita».

La parentela con il cardinale Casaroli

La conversazione a Duemilalibri si è poi spostata sulle considerazioni personali di Pedron che, se incontrasse Ry Cooder (a cui il volume è stato spedito) gli chiederebbe: «Perché ho dovuto scrivere di cose che non mai hai detto a nessuno?» . Come ad esempio la parentela con il cardinale Casaroli ricostruita, tra i vari dati, anche dal cognome italiano della madre, originaria di Bardi. Se tra gli album del chitarrista ha dichiarato di preferire i primi sei, alla classica domanda sull’unico disco che porterebbe in un’isola deserta ha però risposto di non aver dubbi: “Pet Sounds” dei Beach Boys. Riguardo allo stato della musica attuale, non roseo, ha ricordato la regola di ogni buon appassionato:«Anche in mezzo a tantissima porcheria bisogna sapere che ci sono sempre musicisti bravissimi, e trovarli. C’è ancora musica da salvare, bisogna solo cercarla». Pedron, che in futuro progetta di scrivere della musica cajun, a Natale pubblicherà altri due libri, uno sui Creedence Clearwater Revival e una guida al jazz. È inoltre in preparazione un libro sui plagi nella musica, «un campo dove tutti rubano da tutti».

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