Cornacchia sceglie Farioli: «Può farcela col voto disgiunto. Antonelli? Un despota»

BUSTO ARSIZIO – «Di Farioli sono stato la spina nel fianco ma ha sempre rispettato il mio ruolo e la mia indipendenza, con Antonelli ho fatto la peggiore delle mie sei consigliature, sbattuto fuori dalle chat di maggioranza alle prime interrogazioni». Diego Cornacchia, veterano della sala esagonale, lascia definitivamente dopo quasi trent’anni di consiglio comunale e si schiera con Gigi Farioli: «L’ho incoraggiato a candidarsi sindaco già mesi fa. Antonelli è un despota, è ora di defenestrarlo». Per l’ex presidente del consiglio comunale «la scelta del prossimo sindaco è tra due, Antonelli e Farioli. Ma Gigi può farcela perché potrà beneficiare del voto disgiunto, già certo, di molti della Lega, di Forza Italia e del PD».

Diego Cornacchia a casa sua, Villa Leone

Quello di Cornacchia, che nel frattempo ha assunto l’incarico di presidente della Fondazione Anffas-Lion Ravera succedendo all’amico di una vita (ed ex socialdemocratico come lui) Piero Magistrelli, è una sorta di “testamento” politico. «Io mai politico, sempre amministratore. Ora esco di scena in assoluto, da “senior” della politica di Busto, dopo sei mandati da consigliere comunale. Tre nella Prima Repubblica e tre nella seconda» così Diego Cornacchia annuncia l’addio al consiglio comunale. Dall’80 ad oggi è stato due volte assessore con il sindaco Gian Pietro Rossi («mi omaggiò di una targa improvvisata – rivela – con scritto “hai la stoffa per fare il rompi palle”») e presidente del consiglio comunale ai tempi del Farioli-bis. Ma resta pronto a tornare in pista: «Finché ci sarò, se sarò chiamato a fare il mio dovere, non mi tirerò indietro».

La targa improvvisata di cui il sette volte sindaco Gian Pietro Rossi fece omaggio all’avvocato Diego Cornacchia

Cornacchia, come mai non si ricandida?

«Avrei potuto correre per Farioli. Prenderei ancora più voti di chiunque. Ma sono presidente della Fondazione Anffas-Lion Ravera».

Farioli ha fatto bene a ridiscendere in campo?

«In uno dei pochi consigli a distanza con il tablet a cui ho partecipato, a febbraio 2021, non votai un regolamento che era scritto con i piedi e senza capo né coda, e Farioli mi mandò un messaggio per complimentarsi con me. Gli risposi che la distinzione o è totale o è acquiescenza. Poi già a maggio sollecitai una sua autonoma candidatura di centro in contrapposizione al “destrorso”».

Che intuiamo sia Antonelli… 

«Sono stato in Forza Italia dal 2006, da quando due socialdemocratici come me, Giovanni Cuojati e Piero Magistrelli, mi chiesero di tornare a candidarmi. Eravamo il centro del centrodestra, oggi è tutto spostato a destra, e serve un centro. Gigi era indeciso, l’ho spronato e incoraggiato, anche se ha commesso l’errore di tardare la sua discesa in campo, quando ormai Busto al Centro di Bottini era già in pista con il suo candidato. Forza Italia sembrava appoggiarlo poi si è tirata indietro. Io non mi sono ricandidato, ma ho dato la mia disponibilità a convalidare le firme per le liste di Farioli. È ora di “defenestrare il despota”, come gli scrissi».

La sua scelta è fatta, par di capire: schierato con Farioli. 

«Ho fatto il confronto tra i due: Gigi Farioli è uomo di cultura, di larghe prospettive, in grado di programmare ma non è un tipo da realizzare, mentre Antonelli è un operativo e un pragmatico, anche se fuori dalle regole. Così è successo che quanto programmato in dieci anni di consigliatura di Farioli, Antonelli lo ha realizzato. E ha lucrato su quanto era stato posto in programma da noi. Ma ormai ha esaurito le cartucce che Farioli gli aveva messo sul tavolo. Farioli invece può ancora creare e progettare per la città, quindi è opportuno che torni in sella».

Come mai dovrebbe tornare a fare il sindaco? 

«Lo sostengo perché è uno che si confronta con i suoi collaboratori, mentre Antonelli è un despota. L’attuale sindaco non ha niente più da spendere, delle cartucce che aveva avuto in eredità, e sarà condizionato dalla Lega, con Forza Italia ormai ridotta a farne da scendiletto, al 3-4% con un capolista di cui in cinque anni non ho mai sentito la voce in consiglio comunale (Orazio Tallarida, ndr), il che la dice lunga sul livello a cui potremmo scendere. Mi auguro che Farioli riesca a mettere insieme un gruppo consiliare all’altezza e una giunta qualificata e non improvvisata».

Farioli può farcela nonostante il centrosinistra riunificato?

«Grazie al voto disgiunto. È una certezza da parte di molti che votano Lega, Forza Italia e PD. La scelta è Antonelli o Farioli. E vorrei ricordare che Antonelli dopo la prima seduta consiliare di cinque anni fa aveva fatto dimettere Giampiero Reguzzoni, che era tra i più votati, e fatto sospendere Paola Reguzzoni: può quest’ultima averlo nel cuore?».

Con Antonelli è tutt’altro che tenero. Cosa gli imputa? 

«Pensiamo alle opere che si intesta, a partire dal parcheggio San Michele, che era stato messo in bilancio su mia insistenza da Paola Reguzzoni quando era assessore. Oppure al flop del Campus di Beata Giuliana, notevolissimo, e al Borri, su cui erano state avviate iniziative concrete che poi sono state abbandonate inspiegabilmente. E poi c’è la questione della Coop, un abuso d’ufficio grosso come una casa accertato dal provvedimento del Gip, eclatante ed evidente ma non più perseguibile perché il reato è stato modificato. Comporterebbe l’esilio politico, altro che ricandidarsi. Invece Antonelli ha la faccia tosta di riproporsi, oltretutto dopo che aveva dichiarato che avrebbe fatto il sindaco solo per un mandato. E ora c’è ancora in ballo la causa civile della Coop, in cui il giudice ha deciso di assumere gli atti del procedimento penale archiviato. Visto che l’assicurazione non risponde del danno in caso di responsabilità personale, corriamo il rischio che il Comune debba pagare rivalendosi successivamente. Perciò dissi che era necessario il sequestro conservativo dei beni del sindaco, iniziativa che per tiepidezza del consiglio comunale non è passata».

Eppure lei cinque anni fa era stato capolista della Lista Antonelli, cosa si è rotto subito dopo?

«Dicono che lasciai la Lista Antonelli perché non mi nominò assessore, ma non è vero. La cortesia di fare da capolista di Antonelli me la chiese Farioli, per evitare di portar via un seggio a Forza Italia e per qualificare la “lista del sindaco”. Così io mi abbinai con la collega avvocato Miriam Arabini. Con l’impegno, preso da Farioli, a fare l’assessore al personale, dopo che da presidente del consiglio avevo fatto la guerra sulla pausa caffè e sugli orari dei dipendenti. Ma quando andai da Antonelli, eletto sindaco, per propormi come assessore, lui mi oppose un problema di quote rosa e Caianiello mi disse testualmente “Tu non puoi fare l’assessore perché stai bene del tuo”. Fatto sta che Antonelli alzò la voce e io gli sbattei la porta in faccia. Ma non fu per quello che lasciai il gruppo consiliare Antonelli Sindaco».

E allora per quale motivo?

«Per l’elezione del presidente del consiglio. Il designato era Farioli, ma io sostenevo che non potesse essere Antonelli a imporlo, perché il presidente dell’assise  è un alter ego del sindaco. Lì saltò fuori il “fascistoide” che voleva imporre la sua scelta. Se Farioli avesse chiesto il voto a tutti i capigruppo, chi non l’avrebbe votato? Invece si accodò ad Antonelli, tant’è che la Lega non lo votò e io astenendomi contribuii a non votarlo. È lì che uscii dal gruppo, quando Paolo Genoni prese la parola, nonostante io gli avessi chiesto di non farlo, per proporre Farioli presidente del consiglio in contrapposizione alla Lega che proponeva Pinciroli. “Glielo devo” mi disse Genoni. E io seduta stante, regolamento alla mano, passai nel gruppi misto. Lì iniziò la mia peggior consigliatura in assoluto delle sei».

Addirittura la peggiore?

«Dopo le prime interrogazioni Antonelli mi fece cancellare dalla chat di maggioranza. Poi trovai sintonia, armonia e collaborazione con Mariangela Buttiglieri, che si unì al gruppo misto. Le chiesi di fare da capogruppo visto che era di Fratelli d’Italia, per far sì che almeno lei fosse informata e convocata alle riunioni di maggioranza. Poi anche lei è andata in rotta con il gruppo FdI di Busto e non si è più candidata».

Cosa lascia dopo quarant’anni di politica? 

«A cavallo tra gli anni ’80 e ’90 sono stato due volte assessore nella giunta del senatore Gian Pietro Rossi, che pure da capogruppo del PSDI avevo fatto dimettere da sindaco. Mi riconosceva la mia indipendenza. Prima mi volle come assessore alle finanze: scoprii miliardi di residui attivi con cui finanziammo la pavimentazione del centro storico e la riqualificazione del viale della Gloria, e andai personalmente a chiedere 10 miliardi alla Cassa Depositi e Prestiti per l’interramento delle Nord e al Coni a Roma con i disegni del progetto del palasport, poi diventato PalaYamamay. Poi Rossi mi designò assessore al personale: dirigevo 780 dipendenti e ogni sabato mattina tutti i dirigenti erano a rapporto da me per sintonizzarsi e confrontarsi. Quando entrò in giunta il PCI, io me ne uscii: allora Rossi mi diede la delega su Accam, allora consorzio, per studiare il nuovo statuto e con l’impegno a diventarne presidente. Mi avevano già mostrato gli uffici e presentato i dirigenti, ma la nomina non fu mai firmata perché la giunta saltò per gli arresti. Erano gli anni di Tangentopoli e da avvocato difesi Landoni e Devastato, ma uscii dalla scena politica».

Per rientrare nel 2006…

«Cuojati e Magistrelli mi avvicinarono: “Ad alti livelli di Forza Italia ci chiedono di candidarti per la tua esperienza”. L’onorevole Cuojati mi disse “me lo devi” e io accettai la candidatura in Forza Italia, che nel direttivo passò per un solo voto. Mi dissero che si erano scannati. E io fui il più votato in assoluto con 430 voti, e ricordo che l’unico che venne a stringermi la mano fu Paolo Genoni. Mi parlavano di un “ruolo adeguato secondo i voti che avrai”, poi tutti sparirono, compreso Farioli. In quei cinque anni nel direttivo volevano sbattermi fuori ogni due per tre. Io presentavo interrogazioni secondo scienza e coscienza senza “chiedere il permesso” e solo qualcuno ammetteva che correggevo le delibere, evitando errori e dicendo pubblicamente quello che gli altri non potevano dire. Fui la spina nel fianco del sindaco Farioli. E nel 2011, quando mi ricandidai nel Pdl, l’ok all’elezione a presidente del consiglio me lo diede Paola Reguzzoni, conoscendo la mia indipendenza».

Cinque anni a fianco di Gigi Farioli in sala esagonale… 

«Con Farioli, che era alla mia destra, ho lavorato da Dio e ho sempre avuto un rapporto sereno: ogni tanto gli stringevo la gamba sinistra per calmarlo e quando fece la famosa sfuriata sui “comunisti di m” gli diedi una strigliata perché difendevo i miei consiglieri. Farioli capiva che svolgevo il mio ruolo. Ma la sedia centrale sui banchi del consiglio era la mia, segno di indipendenza rispetto alla giunta, non come Valerio Mariani che si è fatto estromettere dal sindaco. Nei miei cinque anni ho rivoluzionato l’attività del consiglio, a partire dalle sedie a ferro di cavallo dei consiglieri per guardare la giunta e non guardarsi gli uni con gli altri. Ho modificato lo statuto, il regolamento del consiglio e delle commissioni, imponendo uno stile che ancora oggi vige per la presentazione di proposte di delibera, interrogazioni e mozioni. Ma la più grande soddisfazione fu quando il senatore Rossi, che all’elezione del presidente del consiglio era stato il mio competitor come candidato dell’opposizione, disse che mi avrebbe votato anche lui se avesse saputo che ero così».

Caso Coop, Cornacchia: “Il Comune si tuteli col sequestro cautelativo dei beni del sindaco”

busto arsizio diego cornacchia – MALPENSA24