Andrà tutto bene? Sinora è andata malissimo

coronavirus editoriale conte pandermia

Andrà tutto bene. E’ lo slogan che sentiamo ripetere dall’inizio della pandemia, come un mantra che sottolinei la speranza. Sinora però è andata così e così, più male che bene. E, comunque vada a finire questa terribile situazione, per molte, troppe persone è già andata male, malissimo. Ma nemmeno possiamo cedere allo sconforto e alla rassegnazione. Tutto sommato è doveroso e curativo pensare che andrà tutto bene. Nonostante un contesto di scarsa chiarezza, spesso di confusione, di scelte sbagliate che cominciano ad emergere e a suscitare dubbi sulle capacità gestionali dell’attuale classe dirigente.

D’accordo, istituzioni e politica si sono trovati di fronte a qualcosa di enorme e di inedito, di inaspettato, per quanto non siano stati capaci o, peggio, non abbiano voluto capire per tempo che cosa sarebbe accaduto. Con l’aggravante di scienziati ed esperti che si contraddicevano tra loro: non c’è un virologo che abbia detto la stessa cosa di un altro. Il risultato è che ci ritroviamo a metà aprile in serie difficoltà sia sul presente sia sul futuro. Trascorsa la Pasqua in modo surreale, anche per quanto riguarda i riti della cristianità, si è aperto il dibattito attorno alla ripartenza. Il governo ha nominato l’ennesima commissione tecnica, guidata da un manager di valore come Vittorio Colao, esperto di telefonini, forse un po’ meno di epidemie, con il mandato di studiare la cosiddetta fase 2.  Vero, al centro del lavoro dei 17 (diciassette) saggi scelti da Giuseppe Conte c’è il rilancio dell’economia, ma l’aspetto sanitario è strettamente correlato a quello economico. Per dirla in un altro modo, non si può prescindere da esso.

Siamo proprio sicuri che andrà tutto bene? Nessuno di coloro i quali dovrebbero ricevere i famosi 600 euro di contributo ha ancora visto un centesimo. Eppure se ne parla da settimane, oramai. Il premier lo ha annunciato in una delle prime conferenze stampa, convocate a raffica con uguale raffica di annunci. Ai quali sarebbero o dovrebbero seguire i fatti, che ancora non ci sono o ci sono in modo molto parziale. Quando, ad esempio, si potrà accedere ai prestiti promessi e alla cassa integrazione? Nel frattempo, a causa dell’isolamento, ci sono persone e categorie che non riescono più a mettere insieme il pranzo con la cena, fino al punto da rischiare pesanti turbolenze sociali, specialmente nel dopo.

Si invoca l’unità nazionale, però proprio Conte la vanifica attaccando inopportunamente le opposizioni in diretta Tv: non ci pare sia il momento di rese dei conti della politica. Anzi. Per non parlare del disastro comunicativo tra Roma e le Regioni, delle incomprensioni e delle indeterminatezze istituzionali che alimentano il caos decisionale. Il rimpallo delle responsabilità è oltremodo stucchevole a fronte delle decine di migliaia di vittime e ammalati. L’impressione è che invece delle soluzioni si cerchi, anche nella drammatica circostanza, il consenso.

Che vada tutto bene dipende infine da ciascuno di noi, dal nostro senso civico, dal tasso di resilienza e di adattamento. In tanti non hanno ancora compreso la pericolosità del coronavirus e la sua letalità. Non cantiamo più dai balconi, e fatichiamo a rimanere in casa come ci è stato chiesto. Per carità, la stragrande maggioranza ottempera ai provvedimenti restrittivi. Ma è quella minoranza di incoscienti che preoccupa, coloro che non hanno capito o, come per chi ci governa, non vogliono capire. Bisogna rimanere a casa. Punto.

Il resto è nelle mani del Cielo. Ma forse dovremmo dargli una mano, convincendoci che niente sarà più come prima. E che la retorica del tutto andrà bene vale per gli spot pubblicitari. La realtà, almeno fino a prova contraria, è un’altra cosa.

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