di Gian Franco Bottini
La chiamano “il salto della quaglia”, quell’operazione di trasformismo politico repentino che sottende evidenti interessi personali e non certo sofferti mutamenti ideologici. Basta guardare nelle città a noi più vicine per fare un lungo elenco di agili saltatori nelle due direzioni, tutti chiaramente motivati non certo da pulsioni ideologiche ma dalla realizzazione di ben più squallidi obbiettivi “di cassetta”.
Viene da chiedersi, in termini di orientamenti ideologici, quale saltatore sia quello “vero” : quello prima o quello dopo la sua esibizione ginnica ? Quasi sempre si trae la triste conclusione che non sia nessuno dei due!
Le stesse domande, inevitabilmente, ce le siamo poste in molti di noi dopo il”salto”di Giggino Di Maio, che però non è proprio un “signor nessuno”, come molti altri, ma un Ministro della Repubblica e qualche riflessione in più se la merita. Premettiamo, per sincerità che a noi “Giggino o’ bibitaro” personalmente non è affatto antipatico e che lui nulla ha a che a vedere con lo storico omonimo concittadino “Giggino a’ purpetta” , storico deputato forzista, così soprannominato per la sua abilità nell’”impastare” le faccende.
Il nostro Giggino, in fin dei conti, qualche dote l’ha dimostrata: un aspetto furbetto ma ordinato, una capacità di galleggiamento non indifferente, si parla di una sua applicazione coscienziosa nello studio delle cose, l’abilità di “legare l’asino dove vuole il padrone”, una crescita personale negli anni che non si può disconoscere. Non si può nemmeno negare però che nell’applicazione di queste sue doti si è intestato operazioni a dir poco contraddittorie, con quella che è stata la sua recente presa di posizione. Una richiesta di “impeachement”(ben più pesante che una richiesta di dimissioni!) per il Presidente della Repubblica, una adesione da “gilet giallo” a tutti i “no” presenti sul mercato (no-vax, no-Tav, no-tax ,no-Tap, no-global etc), una aperta simpatia iniziale per tutti i “casinisti” del globo, uno sfrenato populismo da reddito di cittadinanza e via discorrendo.
E’ vero che Churchill sentenziò che “per migliorare bisogna cambiare” ma è anche vero, dubitiamo noi, che “non sempre cambiare vuol dire migliorare”.
Detto ciò, e tralasciando i giudizi, la caratura del ruolo di Di Maio impone almeno un paio di riflessioni. Innanzitutto: quali le vere ragioni della sua decisione e del momento? Si potrebbero riempire pagine di elucubrazioni sulle ragioni esposte dall’interessato e su quelle presunte dai vari cervelloni politici. Noi semplifichiamo, certi di non essere lontani dalla realtà. Il buon Giggino aveva capito che i suoi “soci”, con la storia del doppio mandato, gli stavano tirando la “sola”, creando il terreno per metterlo fuori gioco più avanti, quando qualsiasi “salto della quaglia” sarebbe stato per lui disastroso e dequalificante. Lui, da buon scugnizzo, li ha battuti sul tempo.
Ora lui il tempo davanti per ricreare le condizioni di una sopravvivenza personale se li è creati, trascinandosi però dietro un altro interrogativo, che noi stessi ci poniamo: nel turbolento mare magnum della nostra politica, dove trovare il salvagente per continuare a “galleggiare?” Quello che è certo è che lui cercherà di riconfermare “in neretto” quella sua immagine di leale travet, che ogni mattina timbra il cartellino, passando poi nell’ufficio del capo per avere le disposizioni della giornata, cercando così di scolorire le birichinate dei suoi trascorsi giovanili.
Poi la strada diventerà problematica, resa ancor più complicata dai risultati delle recenti elezioni comunali. Un centrosinistra al settimo cielo, per i risultati ottenuti senza un sostanziale aiuto dei Cinquestelle, rischia di essere schizzinoso nel pensare di far convivere sotto lo stesso tetto due freschi divorziati come Conte e Di Maio. Lo stesso Giggino, sempre più berlusconizzato, potrebbe avere qualche dubbio.
Il centrodestra, sicuramente castrato nelle sue sicurezze dopo le bastonature ricevute, incapace di trovare un accordo su chi è il “capo” e, dopo anni di scontri personali, in grande difficoltà nel pensare di prendere a bordo un personaggio come De Maio, abile nel nuoto “subacqueo e” dai futuri pesi elettorali indecifrabili.
Resterebbe l’utopico “Centro” dove potrebbero confluire in molti (quindi perché no il “convertito” Di Maio?) ma dove le smanie di comando sono tali e tante da renderlo pressochè impraticabile a meno che in tanti si convincessero a trasformarlo da quel “fritto misto” che oggi è in un “acquario” dalle acque trasparenti, dove pesci di diverse razze possano trovare il modo di convivere. Ma, detto tra noi, ci paiono tutti problemi di Di Maio, ininfluenti sui nostri problemi che purtroppo sono ben altri!