Accoltellamento a scuola, il prezzo dell’integrazione

Il professore Stefano Ferracuti

di Stefano Ferracuti*

Il fatto relativo ad un minore diciassettenne che, senza apparenti ragioni, compie un tentato omicidio nei confronti di un insegnante è motivo di profondo turbamento e richiede una riflessione attenta. Le notizie stampa riferiscono di problemi comportamentali e di una diagnosi funzionale nel giovane, problemi che dovevano essere stati riconosciuti dall’istituzione per via dei percorsi didattici di cui il giovane usufruiva

Senza ulteriore comprensione clinica della condizione mentale sottostante il minore non credo si possano proporre ulteriori valutazioni sul giovane. “Problemi comportamentali” è un termine ombrello che abbraccia condizioni dai comportamenti reattivi a problematiche familiari o ambientali a sindromi di esordio di psicosi dello spettro schizofrenico e perciò in sé, non aiuta la comprensione del fatto e della persona che l’ha compiuto. Non sappiamo se vi sia stato un contributo di uso di sostanze tossiche.  

Il Tribunale dei Minorenni effettuerà gli accertamenti necessari e la diagnosi clinica consentirà di comprendere se vi è esigenza di cure o necessità di azioni disciplinari. A priori nulla si può dire su questo punto

Possono essere effettuate alcune considerazioni sociali. La prima è legata a un tema presente nella sottocultura giovanile: quello dei massacri nelle scuole, il cui livello di amplificazione e riverbero nei social media non conosciamo appropriatamente, ma che può certamente facilitare l’idea dell’uso della violenza in ambiente scolastico in certe fasce d’età e su certi social media. Condotte emulative possono sempre verificarsi, fortunatamente in Italia le armi da fuoco sono rigidamente controllate anche se il senso di disperazione e di vuoto che anima molti autori delle stragi statunitensi è presente anche nella nostra popolazione giovanile. 

La seconda considerazione riguarda il prezzo dell’inclusione. Una volta la risposta scolastica alle differenze comportamentali erano le classi differenziali, un disastro umano, didattico ed etico. Oggi, come società, lavoriamo ad integrare le differenze, spesso con mezzi insufficienti, sempre correndo dietro ad un presente sociale che viaggia più velocemente di quanto ci aspettiamo. Gestire ragazzi con peculiarità comportamentali anche importanti richiede mezzi, assenza di preconcetti, flessibilità, capacità di autocritica, formazione continua e volontà di accoglienza. Comporta dei rischi che come società riteniamo sia un valore positivo difendere. Certo si può sempre fare di più per valutare il rischio violenza, e forse uno dei preconcetti è proprio l’idea che la violenza sia un evento da non contemplare a priori. 

*professore Ordinario di Psicopatologia Forense
alla Sapienza Università di Roma;
Direttore Master II Livello in Criminologia Clinica

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