I rossobiancoverdi: convenienze parallele di Pd e FdI

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Giorgia Meloni e Enrico Letta

di Massimo Lodi

Enrico Letta rinuncia all’idea del “campo largo”. È presto per dirlo ora, alla vigilia delle amministrative. Non lo sarà dall’estate, con traguardo sulle politiche. Letta diffida di Conte, che s’ignora di chi si fidi. Da qui l’adieu . Sull’opposto versante, Giorgia Meloni rifugge dall’idea d’un centrodestra di vecchio conio. Anche lei preferisce per ora il silenzio, parlerà più avanti. La Meloni diffida di Salvini e Berlusconi, che s’ignora se si fidino tra di loro.

Scomposizioni in atto, nello schieramento partitico. Ne è causa la guerra. Si sono formati un fronte nettamente occidentalista che accomuna tra gli altri Pd e Fdi, nonostante vestano maglie diverse, di maggioranza il primo e d’opposizione il secondo. E un fronte velatamente antioccidentalista, composto da quote di Lega e quote di Cinquestelle. È pensabile che gli odierni e riottosi soci del draghismo concorrano dopo il voto d’inizio ’23 (o fine ’22, un anticipo non sembra fantasioso) a costituire un governo? Non lo è.

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Massimo Lodi

Più verosimile che Letta e Meloni stringano un patto tacito per conquistare ciascuno il maggior consenso possibile. Ed eventualmente – se impediti nel cementare omogenee alleanze – per unirsi nella gestione dell’emergenza. Perché l’emergenza proseguirà, guerra finita o non finita. Cenni di collaborazione tra i leader di sinistra e destra si sono già colti. Restano due interrogativi: 1) quale il modo istituzionale utile a un reciproco vantaggio: 2) quale la figura di sintesi dell’eventuale entente nel caso d’un governo di ragionevolezza nazionale.

La risposta all’interrogativo 1 è il cambio di legge elettorale. Via il semimaggioritario, che in alcuni collegi imporrebbe a Letta di votare indesiderati grillini, e alla Meloni di votare sgraditi salviniani/berlusconiani; spazio al proporzionale che, aperte le urne, autorizzerebbe o esecutivi a egemonia Pd o esecutivi a egemonia FdI o un esecutivo Pd-FdI più frondisti di Salvini, Conte e Berlusconi. Ammucchiata innaturale? Se non ci si è scandalizzati per quella Lega-M5S, per quella M5S-Pd e per il rassemblement che ha insediato Draghi a Chigi, non ci s’indignerà per questa. La risposta all’interrogativo 2 è il verdetto popolare: se Letta e Meloni otterranno un consenso pari o quasi pari, sarà giocoforza trovare una figura terza di presidente del Consiglio. Cioè Draghi oppure un simil Draghi.

La svolta antisovranista della Meloni, l’atlantismo a prova d’incrinature di Letta, le insofferenze leghiste (Giorgetti) e pentastellate (Di Maio), la spinta delle cancellerie europee e dell’amministrazione americana rappresentano uno scenario che non esclude l’ipotesi. Per quanto sembri balzana, lo è meno di alternative, al momento, d’affidabilità zero: dopo i governi gialloverde (Conte-Salvini), giallorosso (Conte-Di Maio) e azzurro (Mattarella-Draghi), non è impronosticabile un governo rossobiancoverde Pd-FdI di convenienze parallele.

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