Il senso di Francesco Speroni per la bicicletta

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Francesco Enrico Speroni in una "storica" immagine all'Europarlamento

Se non ci fosse bisognerebbe inventarlo. Francesco Enrico Speroni, classe 1946, fra i dieci padri fondatori della Lega Nord, già ministro delle Riforme del primo governo Berlusconi (soffiò il posto nientemeno che a Gianfranco Miglio, il quale, piccatissimo, ebbe parole sconvenienti nei suoi confronti), consigliere comunale, poi consigliere provinciale, poi consigliere regionale, poi senatore, poi eurodeputato, poi… grande fan della bicicletta. Lo ricordiamo, in camiciola estiva maniche corte, in sella a una bici, imbucare l’entrata principale di Palazzo Chigi, con le guardie sull’attenti al suo sprint. Insomma, non scese di sella nemmeno quando fu nominato ministro.

In sella ci rimane tutt’ora, nella sua Busto Arsizio, che gira in lungo e in largo sfidando da sempre Palazzo Gilardoni e gli assessori alla viabilità, colpevoli di imporre sensi unici a lui sgraditi, perché giudicati inutili. Come scrive Andrea Aliverti per via Galvani. O, meglio, ostacoli alla sua libertà di cittadino/ciclista, obbligato ad allungare i percorsi in città. Battaglie di principio contro la cartellonistica stradale, benché ne rispetti alla lettera le prescrizioni, fino all’estremo. 50 all’ora il limite consentito, bene, 50 all’ora siano, non uno di più né uno di meno. Capace di formare code di automobilisti dietro di lui se non si possono superare i 30 chilometri orari. Inarrivabile. Anche quando rivela alla radio, suscitando un vespaio di commenti, che, da eurodeputato, viaggiava tra Strasburgo e Bruxelles spingendo a tavoletta l’auto: 300 all’ora (!) sulle autostrade della Germania. “Ma lì – spiegava – è permesso”. E la sicurezza? E il buon senso? Boh.

La viabilità è una delle sue fissazioni, assieme alle regole e, manco a dirlo, alla precisione. Non gli sfugge niente. A farne le spese sono soprattutto i giornalisti, ai quali telefona per correggere quelli che lui ritiene imperdonabili sfondoni. “In Inghilterra non esistono le carte da bollo”. “Mussolini alla testa della marcia su Roma? Vi arrivò in treno”. “Malpensa è l’aeroporto di Milano? No, è proprietà dello Stato”. Addirittura l’acquisto di una delle sue proverbiali cravatte, dettaglio di un articolo che lo metteva alla berlina, fu oggetto di una precisazione: “L’ho comperata in Belgio, non in Francia”.

Altro che il varesino Mauro della Porta Raffo, il Gran Pignolo è lui, Francesco Enrico Speroni. Sul quale potremmo dilungarci con un florilegio di aneddoti più o meno divertenti, più o meno spiazzanti; ma anche soffermarci a lungo su una carriera politica di tutto rispetto al fianco di Umberto Bossi. Uno di quelli, Speroni, che in un certo senso hanno fatto la storia recente del Belpaese, per arrivare poi, con il pensionamento politico, a minacciare di chiudere la porta in faccia alla sezione leghista di via Culin se non porrà fine allo stillicidio dei sensi unici a Busto Arsizio. E’ il paradosso di un personaggio chiamato addirittura a cambiare le regole nazionali, anche quelle della Somma Carta, che va a sbattere contro le regolette della toponomastica bustese. Se poi sia “per la precisione” o per la sua comodità di accorciare i tragitti, questo lo diranno i posteri. Se avranno tempo e voglia di dirlo.

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