Il successo di Fontana e la disaffezione al voto

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Non saremo certo noi a sminuire la portata del successo personale di Attilio Fontana alle elezioni regionali: chi vince ha sempre ragione. Però… Quel 55 per cento dei consensi sono sì il frutto della scelta degli elettori, ma derivano anche dalla bassissima partecipazione al voto, la più bassa forse mai registrata in passato se non in alcune consultazioni referendarie, che sono un’altra cosa rispetto alle urne per elezioni politiche, regionali o comunali. Domenica e lunedì, in Lombardia hanno votato quattro cittadini su dieci, uno stiracchiato quaranta per cento degli aventi diritto, percentuale che merita opportune riflessioni sulla stracitata disaffezione per la politica, per il disinteresse collettivo verso una classe dirigente che fatica a rinnovarsi e a rinnovare il proprio comportamento, per tutto quello che si commenta attorno al pregiudizio o alla certezza del “tanto fanno sempre quello che vogliono”.

Domanda: come sarebbe andata se ai seggi si fosse presentato il 73 per cento degli elettori, come accadde cinque anni fa? Fontana avrebbe vinto comunque, non c’è dubbio, ma con un consenso forse meno importante di quanto ottenuto nella tornata di questa settimana. Il voto si sarebbe spalmato in modo più ampio su tutti gli altri candidati alla presidenza e, quindi, su tutte le liste. La comparazione con il 2018 conferma questa ipotesi: allora il governatore varesino si attestò sul 49 e rotti per cento dei consensi, quasi sei punti in meno di quanto ottenuto oggi. Che cosa vuol dire? Semplicemente che restringendosi il corpo elettorale si è allargata la platea di chi è andato alle urne con idee più chiare sulle proprie scelte, elettori con un’opinione, convinti e motivati, sicuramente sostenuti da un’adesione politica consapevole, meno, molto meno “di pancia”. Insomma, elettori che hanno deciso non all’ultimo momento, con un’adeguata informazione e una precisa indicazione sul candidato e sul partito. Consapevolezza a cui si aggiunge lo storico orientamento dei lombardi verso il centrodestra, che da trent’anni comanda al Pirellone e poi a Palazzo Lombardia su mandato dei cittadini.

Il vuoto rappresentato dal trenta per cento di elettori che mancano all’appello ha, in buona sostanza, accresciuto il consenso personale del governatore riconfermato. Tanto più alla luce del paradosso delle pesanti critiche e della campagna di delegittimazione subita durante il suo precedente mandato, a cominciare dalla gestione della pandemia fino ai problemi irrisolti della sanità messi al centro di un battage politico e mediatico, di un costante accanimento per sottolineare le inefficienze, vere o presunte che siano, di una Regione che, su un altro versante, è spesso magnificata per le efficienze.

Accuse anche strumentali che, a loro modo, hanno contribuito ad allontanare i lombardi dalle urne. Un governatore sotto assedio che, a questo punto, al di là delle analisi sul voto e delle più disparate considerazioni, si gode la sua rivincita. Una precondizione ottima per amministrare nei prossimi cinque anni, possibilmente con profitti maggiori rispetto al passato. Se Fontana lo vorrà, glielo consentiranno e ne sarà capace. A maggior ragione per la tenuta della Lega, il suo partito, che potrà competere ad armi pari in maggioranza con gli alleati di Fratelli d’Italia. Una situazione complessiva che, da qualunque parte la si giudichi, chiama alla responsabilità.

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