La forza di Draghi, le debolezze dei leader politici

patrini draghi senato

di Luigi Patrini

Molti sono i motivi per cui varrebbe la pena che anche i più riottosi dei Parlamentari dessero la fiducia a Draghi. Non credo di doverli ripetere. Draghi è un grande Politico, proprio perché sa di non essere un “politico”, identificabile con una precisa forza politica, cioè con un partito preciso. Ciò mi pare significativo e “provvidenziale”, dico “provvidenziale” perché non mi pare proprio di poter riconoscere nelle attuali leadership partitiche l’intelligenza e la capacità di rendersi conto di quanto ciò sia importante in questo momento particolare e difficile anche – se non soprattutto – per l’incapacità di coesione, di collaborazione e di unità dei diversi leader di partito.

Quando fu eletto Draghi, scrissi che c’era il rischio che i due maggiori gruppi eletti in Parlamento (a parte il M5S formato da troppi personaggi senza storia politica), cioè la Lega (C-Dx) e il PD (C-Sn) avrebbero corso il rischio di “regalare l’uno all’altro” la figura di Draghi, che, da “tecnico” era evidentemente “supra partes”, cioè al di sopra dei partiti.

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Luigi Patrini

Il rischio di regalare Draghi all’altro era prevedibile perché il PD lo avrebbe voluto “vicino” a sé, per rendere più efficace il suo tentativo di rafforzarsi nella ricerca del “campolargo”, indebolendo il gruppo 5Stelle e rendendo meno incidente la sinistra estrema; la Lega avrebbe voluto averlo in rapporto privilegiato con Salvini, perché il “kapitano” voleva offuscare definitivamente Berlusconi. Il gioco non è riuscito a nessuno dei due (Letta e Salvini), perché Draghi è riuscito davvero ad essere, per il suo prestigio personale e per le sue doti umane e culturali, al di sopra dei partiti.

Appare comunque chiaro che il più ostinato nel volere Draghi dalla sua parte è stato Salvini, che è riuscito a indebolire il C-Dx, apparso sempre primo nei sondaggi delle elezioni Regionali e Comunali di questi ultimi anni, ma sempre riuscito ad apparire meno attraente del PD, che pure, con Letta, ha inanellato una serie di errori colossali che lo hanno screditato di fronte alle classi sociali meno agiate e più provate dalle difficoltà economiche di questi ultimi anni. Il risultato è stato che il C-DX si è indebolito e il PD è riuscito, invece, a …non perdere troppo. Il dibattito di oggi, 20 luglio, in Senato ha evidenziato nettamente il disagio che il discorso serio di Draghi ha creato nel C-Dx, oggi più che mai diviso in tre tronconi (Lega, FdI, FI) che hanno disegni tattici e forse anche strategici diversi, facendo emergere la serietà dei piccoli gruppi di Centro che difficilmente possono riconoscersi in un’alleanza di C-Dx così divisa e desiderosa non di “unire”, ma solo di “annettersi” i compagni d’area politica.

Ma la grandezza di Draghi emerge soprattutto, a mio avviso, dal fatto che ha dimostrato di essere davvero disinteressato al potere. Ricollegandomi alla “dialettica servo-padrone” di hegeliana memoria, ho sempre creduto che abbia diritto di gestire il potere solo chi non ha paura di perderlo. Draghi è apparso, anche sotto questo aspetto, molto diverso da quasi tutti gli altri leader politici, le cui scelte sono state fortemente condizionate dalla preoccupazione di guadagnare qualche like e di contenere la perdita di voti alle ormai comunque prossime elezioni politiche. La loro preoccupazione, appare con tutta evidenza al di là delle paludate e roboanti dichiarazioni di attaccamento al vero bene degli Italiani, dal timore di perdere il potere. Proprio per questo nessuno di loro mi appare meritevole di subentrare a Draghi.

Anche altri potrebbero sostituire Draghi: in Italia non mancano politici seri e autorevoli, ma certo in questo momento è auspicabile che Draghi resti.

Ci tengo a sottolineare che ho scritto frettolosamente queste considerazioni prima di sentire la replica di Draghi al Senato, certo che Draghi, come ha detto nella sua dichiarazione di questa mattina in apertura di seduta, “risponderà” (perché è serio e “responsabile”) delle sue scelte agli Italiani, prima ancora che ai suoi interlocutori in Senato.

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