La Lega, quel giorno di 40 anni fa. Giuseppe Leoni racconta

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Umberto Bossi e Giuseppe Leoni, bravi papà. Anche la Lega era appena nata

di Massimo Lodi

VARESE – “La Lega Non è più quella delle origini. D’una volta. Dei fondatori”. Parola d’uno di loro, Giuseppe Leoni, 77 anni, architetto, pilota d’aerei, nato e residente a Mornago, amico di Umberto Bossi fin da quando entrambi s’occupavano di custodire/perpetuare il dialetto bosino. Si presentarono ai musei civici di Villa Mirabello il tardo pomeriggio in cui un altro Umberto, di cognome Zavattari, dentista e assessore municipale, varesinissimo cultore del localismo, fece conoscere il suo libro I nost proverbi. Zavattari aveva in animo di realizzare un vocabolario dell’antico, prediletto vernacolo. Leoni e Bossi idem. Ma non s’incrociarono mai.

Leoni e Bossi s’incrociano invece al bivio della politica. Comune passione per la lombardità, il federalismo, la distanza dal potere romanocentrico. All’inizio degli anni Ottanta iniziano a girare per il Varesotto scrivendo/tinteggiando d’indipendenza e autonomia su muri, ponti, manufatti d’ogni tipo. Colore verde, materia prima fornita da un amico di Leoni: fa il rappresentare d’una ditta che la produce, si chiama Boero. Gliene porta ogni tanto un bidone. Nottatacce faticose, ma adrenalina a mille. Finché Bossi e Leoni decidono di mettere il verde, disémm inscì, nero su bianco. Cioè di firmare l’atto costitutivo della Lega Autonomista: danno questo nome al loro movimento.

Quarant’anni fa, 12 aprile ’84, studio del notaio Franca Bellorini, via Bernascone, dietro piazza Monte Grappa. Se n’è appena andato Beppe Saronni, ciclista famoso, per firmare chissà quale documento. Entrano dalla dottoressa, oltre a Bossi e Leoni, la moglie dell’Umberto, Manuela Marrone; due commercianti, Pierangelo Brivio e Marino Moroni; il dentista Emilio Sogliaghi, reclutato quasi per caso. Bisogna essere in sei, manca il sesto. Si valuta opportuno che sia un milanese, lui è di Milano. Viene firmato l’atto costitutivo d’un partito destinato alla storia, prima Lega Lombarda, poi Lega Nord, infine -ma è tutt’altra vicenda, cui fortemente obiettano i fondatori- Lega per Salvini premier. Alle europee successive, principio dell’estate, si allea con la Liga Veneta formando l’Unione per l’Europa federalista: prende lo 0,47%.

Ma i promotori ci credono. Nell’86 diventa Lega Lombarda, intanto Leoni è diventato consigliere comunale a Varese. Sbalordisce tutti leggendo in dialetto (il primo amore non si scorda mai, figuriamoci nell’occasione del debutto istituzionale) l’intervento d’esordio a Palazzo Estense. Scapigliato, baffoni, papillon: sembra un artista -e difatti lo è, nella professione- capitato lì per un accidente della sorte. L’anno dopo sarà deputato, e Bossi senatore. Un’avventura incredibile, clamorosa, al di fuori del più fantasioso dei pronostici.

Leoni conserva lo spirito romantico d’allora. È stato l’anima del leghismo, ha presieduto la consulta cattolica, sovrinteso alle iniziative editoriali, frequentato per sei legislature i banchi di Montecitorio e Palazzo Madama. Incarichi ministeriali, no. Rifiutati perché, con umiltà, non li riteneva alla sua portata. Ciò che non si direbbe, visto il valore assoluto dell’uomo e la relativa pochezza di molti che si sono arruolati, con l’acquolina gocciolante, nella Lega del boom.

Rimpianti? Non ne ha. Dice: credevamo in un progetto. Anzi, in una missione. E vi abbiamo dedicato il meglio di noi stessi. Ma -puntualizza, per quanto lo riguarda- senza mai perdere il senso della misura. Atteggiamento che gli ha guadagnato la stima anche nei campi avversi al suo. E da personalità le più inimmaginabili. Una come esempio di tutte: Mario Monti. Quando il professore fu nominato presidente del Consiglio, Leoni gli mandò un ritratto disegnato di sua mano con gli auguri di buon lavoro: da varesino a varesino. Monti lo volle incontrare, nacque un’amicizia. Perfino un rapporto privilegiato, naturalmente nella reciproca riservatezza.

Oggi Leoni sta all’opposizione di Salvini. Fuori del partito, non dentro il partito. Continua a fare qualche visita alla casa di Bossi a Gemonio, tiene i contatti con i barracadieri d’una volta, non molla il sogno dell’autonomismo vero. Ma sa che è un’illusione. “Salvini sta sbagliando tutto da anni, non dà retta a chi lo consiglia d’invertire la rotta”. Rassegnazione? Non è da chi ama i voli spericolati. Realismo? Sì, questo sì. Poi non si sa mai, la politica è bizzarra. Difatti, vedi cosa capitò alla Lega cui con dava cinq ghèi nessuno. Poi un esercito di profittatori s’accalcò per salire sul carro dei trionfanti, dal quale a un certo momento Leoni decise di scendere.

Adesso la vede male, alle europee di giugno. “Un nostro sondaggio dà Salvini al cinque per cento”. Così poco? Eh, sì. Càpita se decidi d’essere la fotocopia dell’originale, ovvero della Meloni. Poi, che “…nel leghismo ci sia sempre stata anche una sensibilità di destra, ma sì, verissimo. Qui però siamo in presenza d’un pensiero quasi unico, ufficialmente almeno. E non va bene. Non va proprio bene”. Non va bene neppure che le celebrazioni del quarantennale di fondazione escludano -salvo notizie contrarie, finora non pervenute- i fondatori. Come se fossero dei balabiòtt qualunque, quelli che l’atto costitutivo del 12 aprile ’84 si proponeva di combattere.

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Leoni consigliere comunale
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