La storica sede della Banca Gallaratese regno di degrado e inciviltà

GALLARATE -C’era una volta una prestigiosa banca, la Banca industriale gallaratese. La sua sede, altrettanto prestigiosa, era in piazza Garibaldi-via Castelli, nel cuore della città. Edificio della seconda metà del secolo scorso,  porticato, ingresso che alla sola vista denunciava il profumo dei soldi. C’era una volta e non c’è più. Al suo posto è rimasto il degrado, quanto meno al suo esterno. Uno spettacolo vergognoso e disdicevole: graffiti, segnacci e parolacce sui muri, anche sotto la storica insegna in marmo della vecchia Big. Bottiglie di birra abbandonate, resti di pasti e di altre sporcizie. Luogo trasformato addirittura in un bagno all’aperto. E sporco di mesi, forse di anni lasciato tutto intorno, spia di bivacchi notturni di pattuglie di balordi senza alcun ritegno né, tanto meno, coscienza civica.

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A chi tocca pulire?

Chi passa di lì, e di persone ne passano tante, butta l’occhio e tira dritto, probabilmente indignato. E con la domanda che si ripete ogni volta: a chi tocca pulire? Al Comune? Probabilmente no, essendo uno spazio privato. Quindi ai proprietari, cioè l’istituto di credito nel quale si è fusa la Big, istituto che ha sede sull’altro lato di piazza Garibaldi, dove sono confluiti anche i vecchi sportelli della “Gallaratese”.
Al di là delle responsabilità e delle competenze su coloro i quali dovrebbero o, meglio, devono intervenire, resta la cartolina di degrado massimo nel centro storico di una città che vuole giustamente crescere anche sotto il profilo dell’immagine e che, per il momento, in certi suoi angoli, ricorda una città dove regna l’incuria e il disinteresse collettivo. Naturalmente non è vero, ma che cosa può pensare un passante forestiero che si trova davanti un simile scenario? D’accordo, la competenza non è del pubblico, ma il pubblico avrebbe l’obbligo di trovare una soluzione. Magari chiedendo alla forza pubblica di attenzionare, come si dice in gergo, il palazzo di piazza Garibaldi, una volta marchio della Gallarate che lavora e che produce, oggi simbolo di una città che ha poca cura di se stessa.

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