‘Ndrangheta a Lonate e Ferno, chieste condanne pesanti per chi favoriva la cosca

LONATE POZZOLO – Si è chiusa nella tarda mattinata di oggi, venerdì 18 settembre, la requisitoria del pubblico ministero della Dda di Milano Alessandra Cerretti che in un intervento durato un giorno e mezzo ha ripercorso tutti i fatti contestati ai sette imputata nel processo Krimisa accusati di aver favorito la locale di ‘ndrangheta Legnano-Lonate Pozzolo guidata dal boss Vincenzo Rispoli.

Le richieste del pm

Al termine della requisitoria il pubblico ministero si è rivolta all’Assise del Tribunale di Busto Arsizio presieduta dal giudice Rossella Ferrazzi chiedendo condanne pesanti: 16 anni per Cataldo Casoppero, 7 anni per Antonio De Novara, 10 per il fratello Cristoforo De Novara, 5 per Giampaolo Laudani (unico imputato per il quale ha chiesto le circostanze attenuanti generiche), 5 anni per  Sandra Marte, 5 anni e 6 mesi per Giuseppe Rispoli, figlio di Vincenzo, e 5 anni per Giandomenico Santoro. Casoppero e i due fratelli De Novara sono stati tra l’altro raggiunti da una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere a inizio settembre, sempre nell’ambito di un nuovo filone dell’inchiesta Krimisa che nel luglio 2019 ha visto i carabinieri della compagnia di Busto Arsizio e di Milano decapitare la cosca attiva tra Legnano, Lonate e Ferno con grandi interessi economici concentrati sui parcheggi dell’area circostante Malpensa.

La sentenza milanese

Il procedimento “madre” ha seguito poi due diversi filoni processuali: il boss Rispoli e i suoi luogotenenti hanno affrontato il rito abbreviato davanti al Gup di Milano (settimana scorso sono arrivate condanne in primo grado per un ammontare complessivo di circa 160 anni), che era accusato di favoreggiamento (ma non di associazione a delinquere di stampo mafioso) ha invece scelto il rito ordinario davanti al collegio bustocco.

Strategia processuale

Il pubblico ministero Cerretti ieri, giovedì 17 settembre, aveva platealmente annunciato davanti alla corte e agli altri difensori la chiusura di un ulteriore filone d’inchiesta che vedeva tra gli indagati anche l’avvocato Francesca Cramis, co-difensore di Laudani. E oggi lo stesso pubblico ministero ha spiegato il perché di quel gesto: «L’avvocato Cramis ha mantenuto un comportamento corretto durante tutto il processo – ha detto Cerretti al termine della requisitoria – Sino all’udienza di giovedì 10 settembre quando contro esaminando uno dei testi, un imprenditore al quale sono stati recapitati dei proiettili, ha subito il tentativo di avvelenamento dei cani, ed è stato raggiunto da diverse minacce dopo aver denunciato chi lo stava vessando, è stato fatto oggetto di scherno da parte del difensore Cramis». Il teste sarebbe stato fatto oggetto di sarcasmo perché “tremava” durante la deposizione. «Parliamo di un uomo che da mesi vive nella paura», ha aggiunto il pubblico ministero ammettendo dunque di aver agito secondo una «Strategia processuale e in tutela dei testimoni» (Cramis ha rinunciato alla difesa) e precisando «Che il fascicolo relativo all’avvocato Cramis non risale a due anni fa ma reca le date dell’11 e del 16 settembre».

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