VISTO&RIVISTO Quando la retorica “sporca” la complessità dei fatti

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di Andrea Minchella

VISTO

IL PROCESSO AI CHICAGO 7, di Aron Sorkin (The Trial of the Chicago 7, Stati Uniti 2020, 129 min., Netflix).

Sorkin ci sa fare. Probabilmente, però, è più bravo a scrivere che a girare. Infatti inizialmente il film doveva essere solo scritto da Sorkin ma diretto da Spielberg. Il progetto, che risale al 2006, subì parecchi mutamenti e stop per i costi elevati, divergenze sulla scelta del cast e scioperi delle associazioni degli attori che spesso bloccano pellicole ancora “in embrione”. Dieci anni più tardi Steven Spielberg diede di nuovo l’impulso al film ritagliandosi un ruolo nella produzione e come consulente per il regista che sarebbe stato lo stresso Sorkin.

“Il Processo ai Chicago 7” racconta il processo che si è tenuto a Chicago i primi mesi del 1969 contro i “Chicago Seven”, un gruppo di attivisti contro la guerra del Vietnam accusati di aver causato e fomentato lo scontro che è avvenuto tra manifestanti e Guardia Nazionale il 28 Agosto 1968 a Chicago durante le proteste alla “convention” del Partito Democratico. Dietro questo processo c’è un’America lacerata dall’omicidio dei fratelli Kennedy, dalla guerra del Vietnam, sanguinaria e incomprensibile, e dalla forte tensione, che non accenna a diminuire, tra bianchi e neri. Insomma il contesto sociale in cui si svolge questo processo è ancora agitato e fortemente connotato da violenze, proteste e continui abusi.

Sorkin scrive una sceneggiatura lineare e fluida ma non si risparmia nella retorica che diventa una delle cifre predominanti dell’intera narrazione. Peccato. Anche il cast, esageratamente composto da dei veri fuori classe, in alcuni casi cede il passo ad una stereotipizzazione eccessiva e, a tratti, quasi “barocca”. La trasformazione del gigante Sacha Baron “Borat” Cohen e del bravissimo Jeremy Strong, mitico nella serie “Succession”, distolgono l’attenzione dalla loro bravura e fanno chiedere allo spettatore se il casting poteva scegliere per quei ruoli attori che non avessero bisogno di parrucche o di un trucco fortemente accentuato e in contrasto con la fisionomia dei due professionisti.

Oltre a questo, l’intera vicenda viene raccontata con un ritmo alla “Ocean’s Eleven”, ma qui non c’è divertimento o suspense, c’è un momento storico tragico e pieno di tensione e violenza. Sembra del tutto eccessivo il ritmo che Sorkin decide di usare per questo racconto. Peccato. La vicenda narrata è una pagina drammatica che, forse, avrebbe avuto bisogno di un ritmo e di un linguaggio più diretto e meno retorico. La storia scorre piacevolmente, forse troppo, e la struttura è perfettamente equilibrata tra la narrazione presente e i “flashback” degli scontri e dei preparativi alla manifestazione.

Tra gli attori, moltissimi, spicca certamente Mark Rylance, nei panni del bravo avvocato William Kunstler, Frank Langella, nei panni dell’inqualificabile giudice Julius Hoffman, e Joseph Gordon-Levitt che interpreta il dubbioso e poco schierato procuratore di stato.

Il film comunque ci racconta un episodio che forse molti non conoscono e, dunque, al di là dei limiti artistici, compie un necessario e auspicabile compito di testimonianza, di renderci, nello specifico, partecipi di uno dei tanti momenti difficili della società moderna per meglio comprendere molti avvenimenti contemporanei spesso incomprensibili o indecifrabili.

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RIVISTO

CODICE D’ONORE, di Rob Reiner (A Few Godd Men, Stati Uniti 1992, 138 min.).

Forse il più convincente film su un processo “militare” mai realizzato. Sorkin scrive un soggetto e una sceneggiatura perfetta e convincente. Reiner, e un cast mitico, trasformano le scritture di Sorkin in un viaggio penetrante nelle pieghe più nascoste del mondo militare americano, delle sue regole e dei suoi segreti.

Un capolavoro “Hollywoodiano” che si poggia sull’interpretazione magistrale di Tom Cruise e su una delle più riuscite “performance” del gigante jack Nicholson. Insieme a loro un’angelica ma tenace Demi Moore che dà del filo da torcere alle rigide e maschili regole che strutturano l’universo militare americano. Da rivedere per ricordare una delle pagine più floride del cinema americano degli ultimi anni.

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