Ospedale di Busto, 327 posti letti Covid occupati. Il dg Porfido: «Siamo tiratissimi»

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BUSTO ARSIZIO – «Siamo tiratissimi. E oggi la sfida è quella di riuscire a far fronte alla massa di pazienti che arrivano in ospedale. Per questo la curva che guardo in continuazione è quella dei ricoveri più che quella dei nuovi positivi». In queste parole del direttore generale dell’Asst Valle Olona Eugenio Porfido c’è tutta la preoccupazione di un’azienda che per la seconda volta, nell’arco di un anno e nel giro di poche settimane, ha di nuovo cambiato assetto ed è arrivata quasi al limite delle proprie possibilità. E nelle parole di Cesare Pavese, che Porfido ha usato per aprire la newsletter interna inviata ai dipendenti, c’è il senso dell’impegno e del lavoro che l’intero sistema ospedaliero territoriale sta mettendo in campo per attravresare il burrascoso mare pandemico: “Quale mondo giaccia al di là di questo mare non so, ma ogni mare ha un’altra riva, e arriverò”.

Direttore Porfido, prendendo spunto dallo scrittore piemontese, quanto è ancora lontana l’altra riva? 
«Questo non lo sappiamo. Anche perché, per capire se le misure restrittive adottate sono efficaci dobbiamo aspettare ancora un paio di settimane. Però rispetto a questa primavera, quando il virus era totalmente sconosciuto, sappiamo molte più cose».

Ovvero?
«Pesco un paio di esempi dalla sport. In una corsa per vincere bisogna essere più veloci degli altri. Nel calcio invece, se vuoi riconquistare la palla deve giocare d’anticipo. Ecco, in questa pandemia velocità e gioco d’anticipo sono fondamentali. Non affermo nulla di nuovo se dico che dobbiamo fare nostre queste peculiarità nel prendere decisioni e nel muoverci nella direzione della “riva” citata da Pavesi. La rete ospedaliera però non può essere l’unica barriera da schierare per fermare il Covid».

Ecco appunto, gli ospedali. A Busto a oggi quel è la situazione? 
«Sino a ora abbiamo recuperato 327 posti letto e sono tutti occupati. Sono in corso altri spostamenti per recuperare qualche altro posto, ma ormai gli spazi di manovra non sono più molti».

Quali sono al momento i reparti più stressati?
«Tra la prima ondata e questa seconda ci sono un po’ differenze rispetto a come il sistema sanitario ha reagito. A marzo – aprile la necessità era quella di mettere in rete i presidi e gestire i posti letto in Terapia Intensiva su scala regionale. Oggi il rischio è un altro: non riuscire più a fare fronte alla massa di pazienti che arriva in ospedale. In questo quadro uno dei reparti più sotto pressione è certamente il pronto soccorso».

Che però a Busto avete sdoppiato, come? 
«Dunque, la separazione dei percorsi è già operativa. In questo momento stiamo intervenendo per dare più spazio ai pazienti in attesa di ricovero. E sfrutteremo il secondo piano del polichirurgico, l’ex Cardiologia per intenderci, per destinarla alla così detta “Osservazione”. Una scelta che darà un po’ di ossigeno al ps, dove, altra differenza con la prima ondata, continuano ad arrivare cittadini con altre esigenze di assistenza. Richieste motivate sia chiaro. Ma anche questo dato fa capire da un lato cos’è cambiato rispetto alla primavera quando la paura ha anche tenuto lontano le persone dal ps, dall’altro rappresenta in questo momento un’ulteriore criticità».

Numeri eccessivi, ospedali al limite e personale che non è sufficiente. Altro punto dolente quest’ultimo, vero?
«La carenza del personale medico infermieristico è un problema pregresso che in una situazione come quella che stiamo affrontando si fa sentire in maniera pesante. Ma non concordo con chi afferma che “ci siamo mossi in ritardo”».

Perché?
«Perché per espletare un concorso servono cinque o sei mesi. Proprio in questi giorni abbiamo chiamato i primi 100 infermieri in graduatoria e 20 hanno già dato la loro disponibilità. Aspettiamo la risposta anche da parte degli altri che abbiamo convocato. Abbiamo anche programmato colloqui con medici relativi al bando assunzioni di personale medico anche non specializzato. Ecco se non ci fossimo mossi per tempo oggi non avremmo queste graduatorie. Alle quali altri aziende ci hanno chiesto di poter accedere. E il personale assunto darà ossigeno a quello già in servizio. Se i colloqui con i medici andranno a buon fine, come credo, tutti verranno destinati al ps».

Torniamo alla curva dei ricoveri: l’obiettivo è abbassarla. Riuscirci significherebbe “essere finalmente fuori”?
«No. E il perché l’abbiamo visto con questa seconda ondata. Mi spiego meglio. A settembre il Covid sembrava scomparso, ma non era così. Diciamo che eravamo riusciti a tagliare i collegamenti di diffusione del virus. Ma è bastato poco per farlo tornare a correre. Non dobbiamo commettere lo stesso errore nel futuro immediato, ovvero le restrizioni, se tutto va bene, termineranno in prossimità delle festività natalizie. Abbassare la guardia in quel periodo, dove probabilmente verranno allentate le misure, significherebbe andare di nuovo in difficolta tra fine gennaio e febbraio. Del resto abbiamo visto che quando si riapre, si ritorna alla vita diciamo normale, al virus serve circa un mese per tornare a correre. E la paura non può essere l’unico deterrente per stopparlo».

In che senso, scusi?
«Credo sia abbastanza chiaro che il Covid dopo il panico che ha creato tra marzo e aprile ha smesso di fare paura. Complice anche il periodo estivo in cui tutto era tornato alla normalità. E con la paura se ne sono andate anche le attenzioni che prima tutti mettevano in una serie di piccole azioni, magari banali ma utili. Ora invece sono tornati tutti insieme i contagi, le misure di restrizione e la paura. Ecco manca ancora la consapevolezza che questa guerra la si vince tutti insieme solo se riusciamo a essere più veloci e anticipare il nemico. Che oggi conosciamo un po’ più di ieri».

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