Ospedali di Busto e Gallarate: Asst investe 30 milioni. La grave carenza di medici

busto eugenio porfido
Il direttore generale dell'Asst valle Olona Eugenio Porfido

BUSTO ARSIZIO – Il nuovo ospedale da una parte, arenato nelle sabbie delle indecisioni dei Comuni e i presidi sanitari esistenti, non certo privi di pecche strutturali oltre che di carenza di personale medico e infermieristico dall’altra. Nel mezzo un periodo, non breve, di transizione durante il quale si dovrà portare avanti iter burocratico, progettazione e cantiere per il nuovo ospedale di Busto e Gallarate, ma anche continuare a investire sulle strutture esistenti.

«Perché – spiega il direttore generale dell’Asst Valle Olona Eugenio Porfido – la sanità non  si può certo fermare. E se da un lato c’è l’obiettivo della nuova struttura, dall’altro i presidi esistenti hanno tutta una serie di necessità di interventi. Che abbiamo realizzato, stiamo realizzando e in molti casi progettando». E a conferma di quanto sostiene il dg parlano i numeri: 6 milioni è 400 mila euro per riqualificazioni già concluse tra il 202o e il 2021 e altri 23 milioni 240 mila euro di progetti in fase di realizzazione, che (salvo un paio di eccezioni) vedranno il termine nel primo semestre dell’anno prossimo. Cifre importanti quelle sui cantieri aperti che vedono circa 9 milioni destinati al presidio di Busto e oltre 14 milioni per Gallarate.

Dottor Porfido, la dismissione degli attuali presidi ospedalieri sembra essere ineluttabile in vista del nuovo ospedale. Eppure gli investimenti fatti e programmati tra il 2020 e il 2022 non sono di poca entità. Ora, il rischio non è quello di “spendere” soldi a perdere? 
«Assolutamente no e per diversi motivi. Il primo è che il nuovo ospedale non sorgerà dall’oggi al domani. E’ vero che prima si parte più si guadagna tempo, ma è anche vero che dalla stesura dell’accordo di programma, alla realizzazione finale, senza dimenticare la fase di progettazione, si prevede un arco temporale di circa 8 anni. E in tutto questo tempo non possiamo certo bloccare sugli investimenti sui presidi esistenti. Anzi».

Scusi, ma allora non converrebbe, come qualcuno sostiene, programmare una profonda riqualificazione di ciò che già esiste, anziché avviare il nuovo cantiere? 
«Credo che l’errore più grande sia confondere le cose. Da un lato c’è la necessità di avere una nuova struttura moderna, all’avanguardia, realizzata sulla base delle attuali esigenze sanitarie e che possa concentrare professionalità e tecnologia in un unico polo. Dall’altra è evidente che non basta, poiché, non dimentichiamolo, la sanità contemporanea non può basarsi solo sul paradigma delle concentrazione. Il Covid l’ha dimostrato in maniera dirompente. Occorre ricostruire la medicina territoriale per ridurre il divario tra il bisogno dei pazienti e i percorsi di cura. E tutto questo lo si può fare con il nuovo ospedale e la nuova riforma sanitaria alla quale sta lavorando Regione Lombardia».

Parla come se i presidi di Busto e Gallarate facessero già parte del passato. E’ così? 
«Parlo sulla base della direzione che si dovrebbe intraprendere. Gli attuali ospedali non rappresentano il passato. Sono il presente e in quanto tale importantissimi. Ma bisogna guardare alla realtà. E fare bene i conti. Sulle attuali strutture di Busto e Gallarate, abbiamo stimato che servirebbero 25 milioni di euro solo per la messa a norma antincendio. Investimenti per ammodernarle? Certo si potrebbero fare. Ma significherebbe adattare tutte le vecchie infrastrutture sulla base delle nuove esigenze».

Insomma, senza dubbio meglio l’ospedale unico? 
«Ma senza arretrare sugli attuali presidi. Sui quali si deve necessariamente investire, ma soprattutto capire dove investire. Sui presidi di Busto e Gallarate nel biennio 2020 – 2021 abbiamo potenziato impianti di climatizzazione, attivato il nuovo reparto di Cardiologia, realizzato il nuovo blocco operatorio polichirurgico. E abbiamo ancora aperto una decina di interventi. Per un totale di circa 30 milioni di euro. Ai quali bisogna aggiungere quasi 7 milioni di nuove apparecchiature».

Stiamo sempre parlando di infrastrutture, l’ha detto anche lei, che mostrano pecche dovute agli anni e ai cambiamenti che si sono nel tempo stratificati e risultano oggi superati. A fronte delle tante necessità strutturali e logistiche su quali basi programmate stabilite priorità e interventi? 
«E’ chiaro che in sanità ogni euro speso è doppio. Nel senso che, se da una parte si investe dall’altra si “toglie”. L’Asst che dirigo però si sta dotando di un piano regolatore degli investimenti. Si tratta di uno strumento tecnico che fissa tutte le necessità, ma anche le priorità. E che porterà nei prossimi anni a modificare gli ambienti che oggi conosciamo, ma che potrebbero cambiare. Questo strumento ci darà alcuni vantaggi. Tra questi una miglior programmazione delle spese».

Fin qui abbiamo parlato di infrastrutture. Ma, soprattutto in Sanità, non ci si può dimenticare del capitale umano. Ovvero di medici e personale infermieristico. E anche qui le note sono dolenti, o ci sbagliamo? 
«Certo che il problema esiste. Ma non lo si può risolvere né a livello aziendale, né regionale. Lo dico da tempo e ne sono ancora convinto. Sul tema dell’assunzione dei medici bisogna tornare al recente passato, quando la specializzazione la si conquistava sul campo. Mi spiego meglio. Oggi per “entrare” in ospedale devi avere la specializzazione. Che la si può ottenere solo all’università. E’ evidente che un polo ospedaliero universitario, dove pure il problema esiste, è più avvantaggiato rispetto a un’azienda come quella della Valle Olona. Nel senso che i loro medici li specializzano e se li tengono. Ecco, servirebbe una legge speciale a livello nazionale».