Prigionia adolescenziale: la sindrome di Hikikomori

sindrome di Hikikomori

Il termine hikikomori è stato formulato dallo psichiatra Saito Tamaki, direttore del dipartimento psichiatrico dell’Ospedale Sofukai Sasaki di Chiba, una città vicino Tokio per indicare una condizione patologica di isolamento che coinvolge soprattutto la fascia adolescenziale. L’espressione deriva, infatti, dal verbo Hiku(tirare indietro) e Komoru (ritirarsi) e indica una sindrome sociale che partita dalle società nipponiche si è diffusa nell’ultimo decennio anche nei paesi occidentali e soprattutto in Italia.

Classificazione clinica

Secondo le statistiche, questa sindrome colpisce i giovani fra i 14 e i 30 anni che hanno trascorso almeno sei mesi in una condizione di isolamento sociale, nel 90% dei casi di sesso maschile e appartenenti a famiglie di estrazione sociale medio-alta. Rappresenta un meccanismo di difesa messo in atto come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle società capitalistiche economicamente più sviluppate, in cui i giovani si sentono soffocati da una realtà a cui non riescono a rispondere in modo efficace e dunque l’unica alternativa è l’isolamento fra le mura domestiche. Ma anche all’interno della propria casa si alzano delle barriere, soprattutto con i genitori, al punto che il ritiro si circoscrive alla propria camera da letto, dove il giovane svolge tutte le attività quotidiane prediligendo quelle solitarie: mangiare, dormire, leggere, ascoltare la musica, giocare ai videogiochi, rifiutando di fatto il contatto fisico con l’esterno.
Le conseguenze sono dunque, la mancanza di rapporti con i pari, la totale assenza di comunicazione con la famiglia e l’evitamento di qualsiasi forma di contatto visivo e fisico che portano ad un rifiuto totale di relazioni significative. Si hanno anche delle ripercussioni sull’aspetto fisiologico, in quanto i soggetti tendono ad invertire il ritmo sonno-veglia, svolgendo parte delle attività nelle ore notturne, determinati a non rientrare nel mondo sociale.

Sindrome di Hikikomori come Internet addiction

Si tende ad associare questa condizione di isolamento come conseguenza della dipendenza da internet, che sempre di più oggi caratterizza i giovani adolescenti, ma in realtà il fenomeno è sorto prima dell’avvento del pc. In questi casi la permanenza sui social network e il bisogno di comunicare su internet rappresenterebbero per il giovane l’unico varco per aprirsi al mondo sociale. La caratteristica più critica della sindrome di Hikikomori è il rifiuto di confrontarsi con l’Altro perché la paura di non essere accettati prende il sopravvento, quindi il web aiuta ad aprirsi progressivamente al mondo esterno, rimanendo nella propria zona di comfort.

Cause

Si possono indentificare sicuramente due passaggi critici nella vita di questi giovani prigionieri: l’inizio e la fine delle scuole superiori. Sono entrambi fasi di importanti cambiamenti, in cui all’inizio il ragazzo si appresta ad entrare a far parte di un nuovo gruppo di pari e la paura di venire accettati può gravare fortemente sulla sua fragilità. Il primo segnale sono le frequenti assenze a scuola, il calo del rendimento scolastico e la difficoltà di instaurare relazioni amicali con i compagni. Si può manifestare anche tardivamente, ovvero alla fine delle scuole superiori, momento in cui il ragazzo si appresta ad entrare nel mondo degli adulti, del lavoro, progetta di iscriversi all’università o meno e sente sempre più pressanti le aspettative da parte dei genitori e della società in generale che ha già tracciato il percorso da dover seguire.

L’hikikomori, in generale, sarebbe il risultato di una serie di concause caratteriali, sociali e familiari:

  • caratteriali: si tratta di ragazzi statisticamente intelligenti, che hanno sempre avuto degli ottimi risultati a scuola, ma anche particolarmente introversi il che rende difficile instaurare delle relazioni soddisfacenti ed affrontare i momenti critici con resilienza e proattività
  • sociali: hanno una visione molto negativa della società che li circonda, non si sentono accettati e soffrono eccessivamente le pressioni di aspettativa sociale che da essa derivano, per cui non si sentono all’altezza
  • familiari: l’assenza della figura paterna assorbita dal lavoro, tipica soprattutto della cultura giapponese ed ora anche della nostra cultura occidentale, non fa che rafforzare parallelamente l’attaccamento e la relazione madre-figlio, contribuendo allo sviluppo di un esagerato narcisismo del figlio. Inoltre, si è notato che l’estrazione sociale medio alta della famiglia è un comune denominatore, in quanto porta ad aumentare le aspettative di carriera e realizzazione scolastica in un modo insostenibile per il ragazzo.

Il trattamento Terapeutico

Nei casi di trattamento della sindrome di isolamento sociale, la richiesta di aiuto parte sempre dai genitori o da chi vive a contatto con il soggetto. Il primo step dunque è un incontro con i familiari, successivamente si interviene a domicilio con il supporto di uno psicologo/psicoterapeuta specializzato ed esperto sui casi di autoreclusione volontaria. Durante la terapia con il ragazzo, parallelamente, viene supportato anche l’intero nucleo familiare con degli incontri specifici mirati a creare degli spazi di confronto e di indicazione delle strategie utili per valicare le barriere dell’isolamento. L’obiettivo iniziale della terapia non è il condurre il ragazzo fuori dalle mura della sua stanza, ma creare un rapporto di fiducia che permetta al terapeuta di stare insieme a lui ed entrare nel suo mondo. In modo graduale, il professionista aiuta il giovane con modalità colloquiali e relazionali, ad introdursi nuovamente nel mondo esterno. Il lavoro terapeutico è finalizzato ad una ristrutturazione cognitiva ed affettiva del giovane adolescente, lavorando sui pensieri negativi del proprio sé, sul senso di inadeguatezza e di inutilità che lo travolge, potenziando invece la sua autostima e i sentimenti di efficacia nell’affrontare le difficoltà della vita che sempre si presenteranno.

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