Quale Giorno della Memoria?

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Giorno della Memoria per affermare gli “orrori assoluti” dell’Olocausto. Ogni anno, il 27 gennaio, si ritorna sul dramma di un popolo che la follia nazista avrebbe voluto estinguere. Mai più come allora. Mai più tanto dolore. Eppure, proprio in questi mesi, in queste settimane, in questi giorni, in queste ore, il dolore è la cifra di un’altra guerra, di un’altra ecatombe, di uno scenario bellico che rischia di aprirne altri in mezzo mondo, che in parte sono già aperti e gettano inquietanti ombre sul futuro di tutti noi.

La miccia è quanto accaduto il 7 ottobre scorso, un’altra strage di ebrei, un assalto senza precedenti a persone inermi, colte di sorpresa, uccise, violentate, rapite, prese come ostaggi. La ritorsione di Israele è subito arrivata, comprensibile, giustificata, ma fino a quando? O forse sarebbe più giusto scrivere “fino a quanto”? Le conseguenze per la gente di Gaza sono note, migliaia le vittime, tra cui migliaia di bambini. Le ipotesi di una imminente tregua sono da leggere con un cauto ottimismo. E al netto delle decisioni della Corte internazionale di giustizia dell’Aia che ha ordinato a Israele di adottare misure “per impedire che siano commessi atti” che violano la Convenzione sul genocidio.

Da che parte stare, oggi? C’è chi strumentalizza e chi offre soluzioni impossibili quanto irritanti. Difficile, probabilmente sbagliato schierarsi, senza se e senza ma, da una parte piuttosto che dall’altra. Indispensabile conoscere a fondo quanto di complesso, di opaco e di irrisolto si muove da decenni attorno alla questione israelo-palestinese, un ginepraio di ragioni e di torti, di guerrafondai che da sempre attizzano il fuoco. Addirittura si finisce – ennesima dissennatezza – per equiparare lo stato israeliano a quello hitleriano. Come se la reazione al progrom di ottobre fosse una sorta di “soluzione finale” che rimanda a quella concepita dalla mente criminale di Reinhard Haydrich. Non scherziamo.

Detto questo, confermate le enormi responsabilità di Hamas, valgono le parole di Giorgia Meloni, qualche giorno fa in Parlamento: “C’è un’ambiguità diffusa in occidente e nel Medio Oriente che diventa rifiuto all’esistenza di Israele. L’Italia ha ribadito che il popolo palestinese ha diritto a uno stato prospero e indipendente perché è una soluzione anche nell’interesse di Israele, per questo non condivido le posizioni del primo ministro israeliano. Il diritto all’esistenza dello stato ebraico e di vivere in pace e sicurezza resta fuori discussione. Ma serve dialogo…”.

Bisognerebbe fermarsi qui, evitando di tirare in ballo la politica e le appartenenze nel nostro Paese. Eppure, in questo particolare Giorno della Memoria del 2024, saranno ancora una volta le bandiere e le contrapposizioni a dominare. Gli annunciati cortei pro Palestina in molte città alimentano la tensione e, con la tensione, i focolai di antisemitismo. Anche in un momento che induce al silenzio e alla riflessione sulla dignità umana calpestata con lo sterminio di sei milioni di ebrei. Un momento dal quale trarre, insieme a molto altro, un irrinunciabile obiettivo: la pacifica convivenza di due popoli. In caso contrario, le vittime del genocidio nazista, le vittime della Shoah, sarebbero davvero morte invano. Il loro sacrificio è purtroppo e per adesso vanificato da un contesto nazionale e internazionale che depone per tutt’altro. La nostra, lo sappiamo, appare davvero come una vana speranza. C’è qualcuno che potrà farci ricredere?

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