Timida ripresa del manifatturiero a Busto. La fotografia di Confartigianato

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BUSTO ARSIZIO – Dopo il crollo prima nel 2008 poi nel 2013 l’artigianato a Busto Arsizio, seppur timidamente, sta rialzando il capo. La parola d’ordine per chi fa impresa è qualità. Se fino allo scorso anno si parlava di quasi una chiusura al giorno, ora uno spiraglio di ripresa fa capolino. «Non siamo ancora ai livelli pre 2008 – fanno sapere da Confartigianato – ma qualche segnale positivo c’è. La gente ha voglia di riaprire». Anche nel settore manifatturiero, quello più colpito dalla crisi a Busto.

Complici la mancata competitività, l’apertura di nuove aziende in paesi dove il fisco non toglieva il respiro, la mancanza di accesso al credito, la poca liquidità, la chiusura delle grosse aziende con la relativa cessazione degli ordinativi, il manifatturiero a Busto Arsizio aveva subito un tracollo. Dati alla mano dalle 1.293 imprese manifatturiere del 2010 si era scivolati alle 1.162 dello scorso anno: quindi 131 imprese di Busto in 7 anni hanno chiuso i battenti. Il tracollo aveva interessato anche l’artigianato manifatturiero bustese: dalle 498 aziende del 2010, 7 anni dopo si era passati a 445. «Quindi – ribadisce Confartigianato – è fondamentale per le aziende riconvertire la struttura produttiva se non vogliono chiudere».

Non c’è più il ricambio generazionale

Un altro dato che fa riflettere è l’assenza del passaggio generazionale: non ci sono più giovani disposti a ereditare la ditta di famiglia. Qualche anno fa si era registrato un boom degli iscritti nei licei, con il conseguente calo della professionalità nel mondo giovanile: il ventenne rimanda di qualche anno l’ingresso nel mondo del lavoro. Questo fenomeno rimbalza anche tra i titolari dove i figli intraprendono altre strade. A questo va aggiunto anche il pensionamento di qualche operaio. Nelle piccole aziende se entrano in quiescenza 3 o 4 operai storici, l’azienda talvolta fatica a sostituirli con le giovani leve. Quindi è sempre più complesso mantenere i talenti.
Ne sono prova i dati relativi agli addetti: nelle micro-imprese (meno di 10 addetti) si va dai 14.158 del 2012 ai 13.331 nel 2015, quindi 827 lavoratori in meno. Nelle medie imprese con meno di 50 addetti si sono persi quasi 700 tra operai e tecnici. Reggono il colpo le medie e grandi imprese con più di 50 addetti dove la differenza tra il 2012 e il 2015 è di 26 assunti in meno. Più incisiva invece la differenza tra il 2012 e il 2013 dove in un solo anno si erano persi più di 200 occupati.

Lieve calo dell’edilizia e aumento dei servizi

Se l’artigianato manifatturiero è il settore più massacrato, in minor misura lo è quello delle costruzioni: nel 2010 si contavano 875 imprese, nel 2017 il numero è calato di 43 unità attestandosi sulle 832 imprese. «Il settore dell’edilizia ha sofferto di meno perché la crisi era iniziata molto prima – spiegano da Confartigianato – Era un settore già depotenziato». Rassicurante, invece, il dato delle imprese dei servizi dove dalle 659 unità artigiane bustesi del 2010 si è saliti alle 679 attuali, venti in più.

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