Sanità a Varese, il pacemaker della decenza

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di Massimo Lodi

Storia vera/nera dell’estate sanitaria di Varese, ecco la testimonianza del protagonista sventurato. Microfono aperto a sua insaputa, ma a giovamento collettivo. Partiamo da martedì 1 agosto. Voce narrante, prego. Oggi, ore 14, mi ricoverano all’Ospedale di Circolo. L’indomani è calendarizzata un’operazione tanto semplice quanto indispensabile, l’impianto nel torace d’un pacemaker. Ho preparato la borsa con gli effetti personali, sono ai saluti con la moglie, il figlio che m’accompagnerà si mette al volante dell’auto. Avverto un po’ di preoccupazione, e un tanto di serenità: se tutto fila come deve, nel giro di ventiquattr’ore, massimo trentasei, sarò di nuovo a casa. Sfangando meglio l’esistere senile: pulsazioni regolari, animo disannuvolato, ritorno alla normalità. Ammesso che normalità sia definibile lo status dell’ospitante d’una valvola cardiaca artificiale.

Tutto ok? Zero ok. Eccesso d’ottimismo, fiducia, sogno. Alle 13 squilla il cellulare: ci dispiace informarla in extremis, l’intervento è rinviato causa imprevisto. Urgono indifferibili precedenze. Ci aggiorniamo al più presto.

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Massimo Lodi

Rimango basìto. Aspetto da tre mesi la soluzione del problema. Invece me ne creano uno in più. Il respiro si fa corto, e quindi lungo, poi d’incontrollabile ritmo. Mi sento peggio, molto peggio di quando diagnosticarono l’opportunità/l’imprescindibilità del pacemaker. L’emozione provoca sbarellamento: malessere fisico, crisi morale. Chissà-come-per fortuna, mi sostiene un’occulta forza reattiva, nonostante l’età avanzata e i disagi, le limitazioni, gli affanni che porta in dote. Resisto al deprimermi, trascorro una notte insonne, ma tiro avanti: supplico, laicamente supplico, la sollecita chiamata di riconvocazione.

Mercoledì 2 agosto. Alle 16 squilla il cellulare. Una voce cortese dice: scusi per il contrattempo, rimediamo in fretta, si presenti martedì della settimana ventura, sempre alle ore 14. Il giorno dopo avrà il suo pacemaker, una breve sosta clinica per controllare che funzioni all’optimum e potrà andarsene. 

Sospiro di liberazione. Mi rimetto in consolata/ligia attesa. Stanchezza e pessimismo vengono tenuti a distanza. Il momentaccio passerà, deve passare. Passano pure i giorni della lunga vigilia. Arriva il martedì. 8 agosto. La borsa con gli effetti personali è pronta, sono ai saluti con la moglie, il figlio che m’accompagnerà si mette al volante dell’auto, avverto un tanto di preoccupazione, ma anche un po’ di serenità. Il calvario sembra prossimo a finire. Sembra. Alle 13.30 squilla il cellulare: ci dispiace informarla in extremis, l’intervento è rinviato causa nuovo imprevisto. Urgono altre precedenze. La ricontatteremo alla fine di agosto, e vedrà che tutto si risolve.

Storia vera/nera dell’estate sanitaria, che il protagonista sventurato non è sicuro di veder risolta. Varesino d’antiche radici, credeva di risiedere in un luogo d’eccellenza curativa in ogni suo declinarsi. Ovvero: alto profilo nell’organizzazione oltre che nella professionalità. Non è così, fatte salve alcune eccezioni. Da anni. Da molti anni. Da troppi anni. Vantiamo una storia esemplare di avanguardismo nell’accudire i malati, ignota alle avvilenti cronache del presente. Avvilenti perché documentano una sconfitta politica, sociale, culturale, etica non all’altezza della tradizione bosina, onorata da riconoscimenti internazionali e addirittura da premi Nobel. Dunque bisognosa, con una premura che non ammette rinvii, d’un urgentissimo pacemaker per continuare a segnare/battere il tempo della decenza. Almeno quello.

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