Scelta di campo. L’ex leghista Moroni con Galimberti: «Varese? Mai stata così viva»

varese giulio moroni

VARESE – Questioni di radici. Ben salde nella Città Giardino. Il nonno, avvocato, è stato l’estensore materiale del memoriale che poi ha portato alla nascita della provincia di Varese. Iniziativa condotta insieme a Giovanni Bagaini e a un gruppo di intellettuali varesini. Radici che sono sempre rimaste a Varese e si sono rinforzate anche durante i periodi di lontananza dalla città. Da bambino, quando la famiglia trascorreva i mesi estivi nella casa di Montegrino (dove da adulto è stato anche consigliere comunale) e da giovane, nei due anni vissuti in America per affinare l’inglese e anche per amore: «Ero fidanzato con la figlia di John McPhee, un premio Pulitzer» e prima di tornare, per sempre, a Varese, e seguire le orme del nonno e del padre nella professione di avvocato.

Questione di radici. Anche in politica. Che l’hanno portato a entrare in Lega e in consiglio comunale a Palazzo Estense, dove è stato anche capogruppo, con Attilio Fontana sindaco. E che ora hanno contribuito a una scelta di campo opposta: a sostegno di Davide Galimberti, nella lista dei moderati Lavoriamo per Varese. «Perché Varese è la mia città – spiega Giulio Moroni – dove vivo e lavoro. Più passa il tempo e più mi sento varesino».

Giulio Moroni, 10 anni di Lega, 5 passati lontano dalla politica e ora di nuovo in campo, dalla parte opposta, per Davide Galimberti. La sua scelta ha stupito. Anche molti dei suoi amici leghisti. lo sa? 
«Chi mi conosce sa come ho sempre vissuto la politica. E sa che sono sempre stato una persona libera e senza preconcetti. Anche in Lega. Anzi, quando ho deciso di impegnarmi per la città scelsi la Lega perché era un movimento e portava avanti valori che sentivo miei. Ma nel momento in cui il Carroccio ha perso la sua identità, mi sono preso una pausa di riflessione. E ora, questa Lega salviniana, non è più la mia Lega».

Varese 2.0 ha commentato in maniera sarcastica la candidatura di Guido Bonoldi: “Un altro folgorato sulla via di Galimberti”. Anche lei è stato “redento” dal sindaco? 
«In questi cinque anni ho visto Varese cambiare. E ho conosciuto Galimberti sia in veste di sindaco che in quella di semplice cittadino. Ci siamo spesso confrontati quando ci incontravamo all’asilo o a scuola, mentre portavamo i nostri figli. Apprezzo la sua presenza istituzionale, perché secondo me ha ben amministrato e ma anche la sua quotidianità in mezzo alla gente. E questo che mi ha portato a manifestargli la mia voglia di tornare a dare un contributo per la città».

Allora perché si candida in Lavoriamo per Varese e non in Praticittà, la lista di Galimberti? 
«Semplice. Voglio dare una mano, ma non rinunciare alla mia libertà. Mi spiego meglio: cercavo uno spazio politico che appoggiasse questo sindaco e che fosse al contempo un contenitore libero. Lavoriamo per Varese mi dà l’opportunità di confrontarmi in maniera più libera con il sindaco e il resto della coalizione. Per chi come soffre di claustrofobia, sentire di non avere barriere è fondamentale per lavorare bene. E poi è un gruppo dove ci sono molti giovani, persone con bellissime idee e dove si è creato un giusto mix con le nuove generazioni».

Claustrofobia politica, è questo che l’ha portata lontano dal centrodestra? 
«Non solo questo. In questo centrodestra non vedo una decisa volontà nel dare spazio ai civici. Gira e rigira vedo sempre le stesse facce. Quel dinamismo politico che aveva la Lega che ho conosciuto e vissuto si è via via perso negli anni. E i partiti di centrodestra non sono riusciti a innescare un ricambio generazionale della classe politica. Nessuno ha lavorato per costruire un “dopo Fontana”. E questa volta, per trovare un candidato, hanno dovuto “richiamare” un parlamentare da Roma. Francamente non saprei dire il motivo che ha portato a tutto ciò. Quello che vedo è che si punta a catturare il voto di opinione senza fare invece leva sui programmi per la città».

Non la pensa così il centrodestra che “bolla” i progetti avviati dal centrosinistra come interventi a spot slegati tra loro e sostiene che Varese, in questi cinque anni, si sia addormentata. Lei che ha vissuto l’era dell’amministrazione del centrodestra e che ora ha avviato un percorso con la parte opposto, ci può dire se è davvero così?
«Varese addormentata? Non scherziamo. Io vedo una città finalmente viva. E questa grande spinta civica di persone che non hanno mai fatto politica, ma vogliono finalmente mettersi in gioco, è la dimostrazione che Varese non dorme. Anzi, vuole partecipare. E’ una cosa nuova, cresciuta proprio in questi cinque anni. E sono curioso di vedere come va a finire».

Ecco appunto, come andrà a finire?
«Ci sono idee e progetti. Alcuni di questi si stanno già realizzando. Altri invece bisogna farli diventare realtà. Questa è la grande sfida».

Troppo facile, non se la può cavare così. Quali sono le idee e i progetti che vorrebbe realizzati per cambiare Varese? 
«Ne cito tre che potrebbero davvero determinare il futuro della città. La balneabilità del Lago di Varese. Raggiungerla significherebbe avere un volano eccezione e cambierebbe la prospettiva città. Stesso discorso per il Campus universitario, che imporrà un cambio positivo a tutta Varese, oltre a dare ancor maggior valore alla nostra università. Infine viviamo una città dove il volontariato rappresenta una ricchezza straordinaria, ma che potrebbe fare un ulteriore salto di qualità qualora si riuscisse a “fare rete” di tutto il Terzo settore. Tanto più in quest’epoca, in cui la pandemia ha lasciato un segno ancor più profondo nel campo del bisogno».