Shoah, Tati Bucci a Busto: «È ora di dire che l’Italia era dalla parte sbagliata»

BUSTO ARSIZIO – «Prima di andarmene da questo mondo, vorrei semplicemente che qualche persona di potere dicesse “siamo stati dalla parte sbagliata”. La Germania ha fatto i conti con il suo passato, noi italiani no. Eravamo alleati dei nazisti, e abbiamo le nostre colpe». La denuncia di Tati Bucci, sopravvissuta alla Shoah insieme alla sorella Andra, nel corso dell’incontro per la Giornata della Memoria che si è tenuto a Busto Arsizio, nella sala Tramogge dei Molini Marzoli, di fronte ai ragazzi delle scuole superiori della città. «Purtroppo altre cose orribili stanno succedendo nel mondo – ammette la testimone dell’Olocausto, fiumana di origine ebrea – non solo la guerra, ma anche il Mediterraneo che sta diventando un grande cimitero, dove tanti bambini muoiono. Queste cose orribili non dovrebbero più succedere, e speriamo che la nostra testimonianza serva per far sì che non succedano più».

Siate testimoni dei testimoni

«I ragazzi non possono essere testimoni della Shoah ma testimoni dei testimoni sì». Con questo spirito le sorelle Tati e Andra Bucci, rispettivamente 85 e 83 anni, hanno raccontato la loro drammatica esperienza della deportazione di fronte a centinaia di ragazzi delle scuole, in sala ma anche collegati a distanza nelle loro classi, visto che l’evento ha registrato il “sold out”, una partecipazione molto estesa, come rimarcato dall’assessore alle politiche educative Cinzia Daniela Cerana. Un appuntamento voluto dall’associazione Amici di Angioletto Castiglioni, in collaborazione con l’amministrazione comunale, l’Anpi di Busto, il Raggruppamento Alfredo Di Dio e le scuole cittadine del tavolo “La storia ci appartiene”. «La storia deve appartenere a tutti noi – sottolinea Anna Longo, presidente degli Amici di Angioletto – perché quello che è successo non succeda più».

Il racconto

Un’ora e mezza di racconto, da parte di Tati e Andra Bucci, che ha conquistato l’attenzione dei ragazzi: a partire dalla loro vita a Fiume, da ebree di origini ucraine da parte di madre, prima della deportazione nel lager nazista di Birkenau, che faceva parte del complesso di Auschwitz, fino alla liberazione e al ritrovamento dei genitori, che credevano morti, nel 1946. Una storia «più unica che rara», come la definiscono le sorelle sopravvissute, perché «la maggior parte dei bambini venivano gasati all’arrivo, mentre noi siamo scampate per caso, solo perché Mengele ci aveva scambiato per gemelle». Le due sorelle ricordano ancora il cuginetto Sergio, che era nel “kinderblock” di Birkenau con loro e che andò incontro alla morte solo per aver risposto a Mengele che voleva rivedere la mamma: «Ci dissero di non rispondere, lo dicemmo anche a Sergio ma quando vennero a chiedercelo lui non riuscì a resistere e fece un passo avanti. Non lo vedemmo più». Tati racconta poi che «la liberazione per Andra è stata una fetta di salame», una di quelle tagliate da un soldato dell’Armata Rossa su una tavoletta di legno per i prigionieri ancora vivi. «Non sapevamo cosa era successo, solo che cambiarono i colori delle divise e i berretti dei soldati avevano la stella rossa». Poi furono portate a Praga e quindi in Inghilterra, ospitate in una casa dove Anna Freud e Alice Goldberger accolsero i bambini ebrei sopravvissuti ad Auschwitz. Tati ricorda che «dopo due anni passati senza vedere un giocattolo – aveva 6 anni, e sua sorella 4 – ci portarono in una sala giochi, e fu lì, un posto stupendo per una bambina, mi resi conto che potevo riavere la mia infanzia che avevo perso a Birkenau con il peso e la responsabilità di occuparmi di mia sorella». Fino al ritorno alla normalità, quando i genitori da Napoli mandano una foto in Inghilterra per ritrovarle e le due sorelline li riconoscono. Ma nonostante tutto quello che è successo Tati e Andra vedono i segni di speranza: «Abbiamo vinto noi perché non ci hanno sterminato come avrebbero voluto».

I negazionisti

I ragazzi fanno domande. Una è per capire se hanno mai avuto a che fare con dei “negazionisti” dell’Olocausto. «Sì, li abbiamo incontrati – rivela Tati Bucci – quando mi sono sposata, abitavo a Baranzate e tramite un’amica ho conosciuto una ragazza di Ventimiglia, quasi mia coetanea, che disse di me alla mia amica: “non le devi credere, era nella baracca delle prostitute”. Ma come poteva una bambina di 5 anni essere in una baracca di prostitute? Purtroppo ancora adesso c’è gente che non ragiona con il cervello, ma con i piedi».

busto arsizio tati andra bucci – MALPENSA24