Carcere duro, una polemica sbagliata

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Vittorio Feltri, non esattamente un frate francescano, si dice contrario al 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”. Contrario perché, sostiene il noto giornalista, il carcere è già di per sé duro per la privazione della libertà. Una posizione rispettabile, ma poco condivisa dall’opinione pubblica. E, a leggere le cronache parlamentari di quest’ultima settimana, anche dalla stragrande maggioranza dei politici, in senso trasversale tra i partiti. Unanimità o quasi sull’opportunità di inasprire la detenzione per chi commette reati di mafia o di terrorismo, ma nel mezzo di una burrasca che contrappone centrodestra e centrosinistra.

I due schieramenti si scambiano accuse e contumelie dopo la visita all’anarco-insurrezionalista Alfredo Cospito, in sciopero della fame contro il 41 bis, di una delegazione piddina; e per il caso Delmastro-Donzelli, che ha tenuto banco e ancora tiene banco sui giornali e in tv. Vicende che, partendo dalla protesta di Cospito, hanno acceso gli animi e riportato d’attualità la questione del “carcere duro”, che poi, a seconda della prospettiva con cui lo si guarda, potrebbe apparire non così duro.

L’opinione pubblica, dicevamo. A sensazione è orientata a considerare la norma del particolare regime carcerario il minimo che debba essere applicato a mafiosi e terroristi, sottoposti alle più pesanti restrizioni per ciò che hanno commesso. E non dobbiamo ricordare di quale tipo di azioni e crimini si sono (sarebbero) resi protagonisti per essere considerati pericolosi. Al punto che vengono isolati dall’esterno, così da evitare che possano esercitare il loro potere dal carcere. Ore d’aria limitatissime, incontri coi famigliari una volta sola al mese ma dietro un vetro, tv consentita soltanto per i programmi di emittenti nazionali (dalle tv private potrebbero arrivare messaggi subliminali), letture selezionate, socializzazione con gli altri detenuti praticamente esclusa, sorveglianza costante, controllo della posta inviata e ricevuta, effetti personali limitati allo stretto necessario. Insomma, isolamento assoluto.

Giusto? Sbagliato? C’è chi considera il 41 bis anticostituzionale in riferimento all’articolo 27 della Somma Carta, laddove dispone che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla  rieducazione del condannato”. Ma anche la Corte europea dei diritti umani si è espressa ritenendo la norma in questione in linea con le convenzioni internazionali. Certo, risulta singolare che i detenuti al 41 bis non possono ascoltare musica di qualunque genere (Mozart o Battisti possono influenzare negativamente un mafioso?), per loro sono però garantite le cure mediche, e ci mancherebbe.

Rimane il fatto che si tratta di detenuti con un “pedigree” delinquenziale di alto profilo, che hanno ucciso o, come Alfredo Cospito, autori di attentati contro luoghi istituzionali.  Boss come Matteo Messina Denaro e, prima di lui, Totò Riina, non sono proprio ladri di galline. Eppure, si lanciano appelli (persino da Busto Arsizio) per consentire l’uso del telefonino nelle celle, in spregio a qualunque esigenza di impedire che si continui a delinquere. Benché, proprio dal 41 bis sia indirettamente possibile mandare messaggi: lo sciopero della fame di Cospito, reso pubblico attraverso i media, sembra tanto un invito a che monti la protesta di chi sta fuori. Gli esiti sono purtroppo noti.

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