Varese, Busto, Gallarate. E l’asilo Mariuccia

asilo mariuccia

L’argomento, le contrapposizioni tra le principali città della provincia di Varese, è ricorrente e, nell’attuale, drammatico contesto socio/economico generale, di secondaria importanza. Però tutt’altro che insignificante rispetto al dato culturale che lo caratterizza. Negli anni, Varese, Busto Arsizio e Gallarate si sono spesso confrontate e, a volte, scontrate per esercitare o conquistare una leadership territoriale riconosciuta dalle istituzioni. Busto, soprattutto, si è dannata l’anima per diventare provincia e, in subordine, piuttosto che niente, capoluogo di un comprensorio, di un circondario, di un qualcosa che la differenziasse dal resto del Varesotto per definirne il primato manifatturiero e produttivo che le competeva e le compete. Per dirla in un altro modo, Busto Arsizio ha sempre vissuto una sorta di complesso di inferiorità nei riguardi di Varese. Vecchia faccenda, sottolineata anche dall’idioma bustocco, diverso per accenti e desinenze dal dialetto più diffuso in provincia. L’isoglossa di Busto Arsizio rimane anche oggi un segno distintivo, che però non incide sul suo ruolo istituzionale, territorialmente secondario in una provincia comunque policentrica.

E’ da questa premessa che si inserisce lo sfottò tra la stessa Busto Arsizio e Gallarate in funzione delle rispettive squadre di basket. Ne hanno dato contezza Andrea Aliverti ed Enrico Salomi in altri articoli su Malpensa24. Vicenda che rimanda a questioni di tifoserie avversarie, se non fosse che hanno preso la scena nientemeno che i sindaci Emanuele Antonelli e Andrea Cassani, svelti nel rivendicare primati sportivi che, sotto sotto, nascondono pretese supremazie e primogentiure di ben altro segno. Primi cittadini che si accapigliano per la pallacanestro, per altro giocata in campionati minori, attraverso i social e financo nei discorsi ufficiali. In superficie, goliardia. Nel profondo, la rivalità di sempre, che si manifesta in modi da bar sport, da curva allo stadio, da ragazzini che se le danno di santa ragione per una  bandiera sportiva.

 Una “guerra” che però la dice lunga sulla consapevolezza istituzionale, sulle sinergie che, mai come in questo momento, dovrebbero sottendere a tutte le azioni amministrative e politiche. Appunto, politiche. Perché è da lì che nascono certe polemiche, certe prese di posizioni antitetiche. Da una politica che non rappresenta più un comune sentire, che apre dispute a tutto tondo, persino dentro gli stessi partiti, per non parlare di cosa succede negli schieramenti e tra di essi con alle viste le elezioni del prossimo anno. Tutto fa brodo per ottenere visibilità e per affermare chi conta di più. Così, Varese si fa bella con i contributi che riceve da Roma, dimenticando che, essendo capoluogo di provincia, è favorita dalle norme vigenti. Busto alza l’asticella anche se, va detto senza infingimenti, non sempre ne ha titolo. Gallarate sgomita, si agita, propone ma, piaccia oppure no, insegue, anche tallonandole, le altre due città.

Scenario affrancato da quello che una volta si chiamava rispetto reciproco. Ufficialmente ci si scambia salamelecchi, ufficiosamente ci si sgambetta. Tutto ciò per un’altra grave lacuna: non ci sono più veri leader, mancano politici davvero autorevoli, con il carisma necessario per bloccare sul nascere certi commenti, certe stupidaggini che rimandano al mitico e pluricitato asilo Mariuccia piuttosto che a persone chiamate a gestire con efficacia la cosa pubblica, cioè la vita delle nostre comunità. Pattuglie di sindaci – torniamo al dato culturale di cui sopra – che si difendono minacciando querele o vietando ai propri uffici stampa di informare i giornali a loro invisi. Altri segnali di una mediocrità politica che preoccupa e non aiuta ad affrontare le situazioni di grande, diffusa difficoltà di questa terribile epoca storica.

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