VISTO&RIVISTO Il talento infinito e universale di Ripley

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di Andrea Minchella

VISTO

RIPLEY, di Steve Zaillian (Stati Uniti 2024, 8 x 45/75 min., Shotime/Netflix).

Tom Ripley è di nuovo tra noi. Quando la statunitense Patricia Highsmith ne scrisse le gesta nel 1955, con il gigantesco “Il Talento di Mr. Ripley”, probabilmente non pensava di aver creato uno di quei personaggi così iconografici che non invecchiano mai ma che, anzi, si adattano continuamente ai mutamenti della società rappresentandone sempre i tratti più profondi e universali. Ripley, infatti, incarna perfettamente le pulsioni e i desideri di molti esseri umani che vivono sulla terra. E in ogni periodo storico ci sarà ovunque un Tom Ripley pronto ad entrare in azione. La grandezza del romanzo della Highsmith sta proprio nel raccontare e delineare un personaggio dettagliato e complesso che si muove in un’Italia florida e bellissima come era quella degli anni sessanta. Questi elementi trasformano il libro di quasi settant’anni fa in un’inesauribile fonte di ispirazione per il cinema che ciclicamente mette in scena uno dei 5 romanzi della Highsmith in cui Tom Ripley è il protagonista.

Dopo il francese René Clément che affidò il ruolo di Ripley ad Alain Delon, Wim Wenders che traspose il terzo romanzo della Highsmith, “L’Amico Americano”, affidando il ruolo di Ripley ad un alienato Dennis Hopper, Anthony Minghella che diresse forse la versione più riuscita del primo romanzo, e Liliana Cavani che nel 2002 mise nuovamente in scena “L’Amico Americano” con John Malkovich protagonista, ora è toccato al bravo Steven Zaillian trasformare “Il Talento di Mr. Ripley” in, addirittura, una serie televisiva. Zaillian, che ha curato in passato le sceneggiature di film come “Risvegli” di Penny Marshall, “Schindler’s List” di Steven Spielberg e “Gangs of New York” di Martin Scorsese, e che ha creato la fortunata serie “noir” “The Night Of” con un disturbante John Turturro, realizza un racconto denso e inquietante in cui Tom Ripley è il protagonista assoluto.

Il regista statunitense si prende un tempo lunghissimo per poter tracciare con peculiare poetica e ossessiva maestria ogni elemento legato direttamente o indirettamente alla figura diabolicamente affascinante dell’impostore di New York. Ogni dettaglio, anche il più piccolo e apparentemente insignificante, si plasma a favore di una ricostruzione nitida ed essenziale delle vicende di Ripley. Il cast, curato dalla gigantesca Avy Kaufman, puntella centimetro per centimetro una produzione senza fronzoli che fissa indelebilmente la tortuosa e sofferente vita di Ripley e dei personaggi che si trovano sulla sua strada.

Andrew Scott, nei panni di Tom Ripley, è talmente centrato da far evaporare il già bravissimo Matt Damon del capolavoro di Minghella del 1999. Ogni faccia, ogni viso, ogni figura che si muovono all’interno delle sequenze di “Ripley” compongono un disegno armonico e veritiero che danno forza ad un racconto già strutturato e scorrevole. Il bianco e nero, spesso pericoloso perché male maneggiato, qui si trasforma in un’importante chiave narrativa che diventa funzionale alla tensione percepita in gran parte delle scene. L’Italia in bianco e nero di “Ripley” riesce a trasmettere bellezza e fascino allo spettatore. La fotografia, curata da Roger Elswit già premio Oscar per “Il Petroliere”, diventa metrica di luce in un racconto in cui l’immagine diventa essenziale e vitale per la storia narrata. La luce, qui, assume un ruolo centrale come avveniva nei dipinti di Caravaggio che attraggono Ripley in ogni città italiana in cui sono esposti.

Caravaggio e Ripley convivono in una storia di luci e ombre, di pulsioni e violenze, di bugie e delitti, che compongono un’ossessiva ricerca del bello e del piacere. La bellezza viene bramata anche a costo di compiere delitti. La bellezza diventa l’unica strada che un’anima tormentata, come quella di Ripley, può percorrere. Zaillian riesce perfettamente a descrivere e ad indagare un personaggio pieno di ombre e di punti oscuri. “Ripley” è un racconto angosciato e angosciante di un uomo che cerca di prendersi ciò che la vita non gli ha dato. Il montaggio della serie restituisce momenti tesi e momenti dilatati con un continuo fluttuare sulle emozioni. Ogni “frame” viene studiato e inserito in un flusso di immagini che si poggia su di una struttura drammaturgica maniacalmente costruita.

“Ripley” dunque non vuole sovrapporsi alle produzioni del passato ma vuole elaborare nuovamente la figura mitografica di Tom Ripley in una società, diversa da quella del “Ripley” di vent’anni fa, che con ritmi e influenze rinnovati può comunque apprezzare un racconto dettagliato come Zaillian è stato in grado di realizzare.

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RIVISTO

LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE, di Alfred Hitchcock (Vertigo, Stati Uniti 1958, 128 min.).

Un capolavoro di Hitchcock in cui il tema del doppio viene stigmatizzato grazie alla bellezza conturbante e ipnotica di Kim Novak. Una storia alienante in cui la tecnica narrativa del maestro del “thriller” si fonde perfettamente con una vicenda che affonda le sue radici nella psiche più nascosta di ogni individuo. Terribilmente e potentemente attuale.

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