VISTO&RIVISTO Inspiegabilmente due film in uno

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di Andrea Minchella

VISTO

SAW X, di Kevin Greutert (Stati Uniti, Canada, Messico 2023, 118 min).

Nove capitoli, più uno “spin-off”, in quasi vent’anni sono oggettivamente tanti. Qui siamo alla “macerazione delle bucce”, dopo aver spremuto l’argomento fino all’osso. Ma va bene così. Anche perché se “Saw X” incassa come se non ci fosse mai stata la crisi del cinema, durante e dopo il Covid, evidentemente il pubblico, sovrano, ha bisogno di riguardare per più volte lo stesso film, direi più lo stesso “topos”, proposto ogni volta in maniera diversa. E la saga di “Saw” non è altro che la riproposizione dello medesimo concetto in forme e colori ogni volta differenti. L’algoritmo può durare all’infinito. Ahimè.

In questo caso il regista posiziona cronologicamente la sua produzione tra il primo e il secondo capitolo. Il protagonista John Kramer, ovvero il cattivo, il moralizzatore, l’enigmista, è ancora vivo e malato di cancro. Casualmente viene a conoscenza di una cura quasi miracolosa che in maniera clandestina viene effettuata in Messico. Non avendo nulla da perdere il pacifico e riflessivo Kramer decide di affidarsi alle cure della dottoressa Cecilia Pederson e della sua equipe di giovani e preparatissimi medici. Inutile dire che, dopo il delicato ed innovativo intervento (viene effettuata una craniotomia con il paziente sveglio per poter verificare immediatamente le funzionalità del cervello), John Kramer si rende conto di non essere mai stato operato e quando si reca nella clinica in cui crede di aver subito il miracoloso intervento trova una struttura abbandonata e una sala operatoria fatiscente piena di dvd medici che propongono diversi interventi chirurgici al cervello, ovvero le immagini che l’illuso Kramer guardava mentre subiva la craniotomia. E qui comincia il secondo film. Che ricalca, in maniera addirittura più semplificato e appiattito, la linea narrativa di tutti i precedenti capitolo della saga. Kramer dopo aver realizzato di essere caduto nella rete di una banda di truffatori, che si arricchiscono sulla pelle di malati fragili e disperati, decide di vendicarsi e di infliggere ad ogni componente della banda una terrificante e dolorosissima tortura che può essere fermata solo dal coraggio e dalla freddezza della vittima in questione.

Dunque, la prima parte del film è interessante e riesce a mantenere inaspettatamente un livello di tensione apprezzabile. Il doppiatore del protagonista, l’Alessandro Rossi di Liam Neeson, ci fa immergere in uno dei film alla “Io Vi Troverò” in cui un pacifico e tranquillo individuo, dopo aver subito soprusi e ingiustizie, si mette sulla traccia di chi lo ha ferito per mettere in atto una sistematica e terapeutica, per lui, vendetta. Come “John Wick” o “The Equalizer” o l’epico “Man of Fire” la vendetta verso chi fa della prepotenza un “modus operandi” abituale diventa mitologia didascalica in cui lo spettatore si immedesima sperando di potersi, un giorno, comportare allo stesso modo nella propria vita. Per questo motivo la prima parte del film ha una sua originalità e si allontana dall’elemento “splatter” che ha caratterizzato i film precedenti.

La seconda parte della pellicola, invece, cade e ricade nella banalità della violenza spiattellata e sanguinolenta che caratterizza molti “horror” di serie B. Gambe segate, teste mozzate, litri di sangue versati come fosse vino rosso, marchingegni per la tortura e attrezzi arrugginiti da lavoro fanno parte di una grammatica obsoleta ma che ha ancora molto “appeal” nel pubblico che cerca in film come questi un modo per evadere dalla realtà. Una critica oggettiva che si può muovere verso una pellicola del genere è proprio la coesistenza forzata di due registri molto differenti nello stesso racconto. Dopo i primi 45 minuti circa in cui la narrazione trova un senso e una legittimazione grazie alla buona e curata costruzione filmica da parte del regista, la pellicola sfocia poi in una messa in scena fin troppo semplificativa, anche rispetto a gran parte delle sequenze dei precedenti capitoli della saga, che disintegra completamente la storia trasformandola in una plastica e barocca sequenza di torture giustificate e necessarie.

Kevin Greuter, ottimo montatore prima di essere un regista, poteva osare raccontando una vicenda terribile e angosciante mostrando, come nella prima parte, poco o quasi niente pur generando una forte dose di angoscia nel pubblico. Peccato, un’altra occasione persa dalla più grande industria cinematografica del mondo

***.

RIVISTO

NIGHTMARE- DAL PROFONDO DELLA NOTTE, di Wes Craven (A Nightmare on Elm Street, Stati Uniti 1984, 91 min.).

Un capolavoro del maestro dell’”horror” Wes Craven che ancora oggi non teme confronto con le migliaia di pellicole che dal lontano 1984 sono state prodotte. Immerso nella cultura americana “pop” giovanile di quegli anni, “Nightmare” ci mostra, in maniera leggera e sarcastica, la pericolosità dei sogni e dei desideri.

Freddy Krueger diventa la coscienza spietata e cattiva di un mondo che ci vuole privi di sogni e di speranze per poter meglio essere governati. Freddy Krueger diventa subito un’icona universale del cinema moderno. Da rivedere evitando, ovviamente, di addormentarsi.

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