VISTO&RIVISTO Io sono Donato Carrisi

minchella carrisi abisso

di Andrea Minchella

VISTO

IO SONO L’ABISSO, di Donato Carrisi (Italia 2022, 126 min.).

Sembra che Donato Carrisi faccia cinema da trent’anni. La sua capacità di mettere in scena le sue stesse parole che hanno dato vita a romanzi di successo è sconvolgente. Carrisi utilizza la cinepresa, la luce, gli attori, i luoghi, con una facilità ed una fluidità sorprendenti. I suoi film, questo è il terzo, sono la perfetta espressione scenografica dei libri che lo hanno reso uno degli scrittori più inquietanti e innovativi degli ultimi anni. Le sue pellicole, come le sue storie, sono un chiaro omaggio alla cultura cinematografica americana e ai suoi demoni. La bravura di Carrisi risiede nell’immergere quei demoni nel contesto cupo e freddo della provincia italiana, dove possono aggirarsi indisturbati i peggiori mostri e i più riluttanti “serial Killer”.

Violenza genera violenza. Questo principio sembra albergare in quasi tutte le trasposizioni che Carrisi, negli anni, ha deciso di regalare ai suoi spettatori. Il male come qualcosa che non ha cause ancestrali è un concetto rilegato solo ad una cinematografia scadente e dozzinale superficialmente ribattezzata “horror”. Qui questo non accade. “Io Sono L’Abisso” è un viaggio asfissiante nella mente di chi fa violenza perché ha ricevuto violenza. La macchina da presa, finemente guidata dallo scrittore/regista, scandaglia i lati oscuri di un uomo enigmatico, trovando un forte legame tra ciò che ha subito e ciò che perpetra.

L’analisi del protagonista di “Io Sono L’Abisso” viene completamente affidata allo spettatore che, grazie ad una costruzione filmica ineccepibile, riesce a provare nei suoi confronti sentimenti contrastanti, compresa un’antica e pericolosa pena. “L’uomo che pulisce”, come viene chiamato per tutta la durata del romanzo, è qui una figura tridimensionale nonostante la sua semplicità fisica: senza capelli, silenzioso, riservato, metodico. L’uomo, interpretato da un bravissimo e convincente Gabriel Montesi, si muove silenzioso tra abitudini di un lavoro ripetitivo e l’incessante e assordante voce interna del demone che lo perseguita da quando era un bambino. La sua violenza non è altro che una deformata e personale catarsi messa in atto per emanciparsi definitivamente dalla disumana brutalità di cui è stato vittima. Il carnefice, spesso, vive in casa con noi. Il carnefice, spesso, è chi ci ha generato. Carrisi questo lo sa bene e lo rende chiaro e inequivocabile in questa vicenda cupa e piena di riferimenti alla cronaca che spesso irrompe nelle nostre vite tranquille. Crediamo di essere protetti da ogni tipo di crudeltà finché rimaniamo confinati nel contesto familiare. Ma a volte è solo un’illusione.

“Io Sono L’Abisso” è una linea continua di angoscia e paura che si districa seguendo le vite dei tre personaggi principali apparentemente slegati tra loro ma in realtà più vicini di quanto sembri. Sia “L’uomo che pulisce”, sia “La ragazzina col ciuffo viola” che “La cacciatrice di mosche”, qui un’irriconoscibile Michela Cescon, si muovono disturbate e disturbanti nelle loro vite segnate da violenze più o meno evidenti. Le esistenze dei tre sono accomunate dalla voglia di riscatto e dal desiderio di raggiungere un piccolo scorcio di serenità. La ricerca ossessiva di questa meta influenzerà irrimediabilmente le scelte che i tre metteranno in atto durante la narrazione.

Dunque Donato Carrisi dopo il suo secondo film, che risultò un pò più sbiadito rispetto al suo esordio, torna alla regia, del suo undicesimo romanzo, con una ritrovata e più articolata capacità visionaria e registica. Il linguaggio delle inquadrature e delle sequenze scandite da un montaggio curato e serrato si mescola ad una sceneggiatura perfettamente estratta da un romanzo minuzioso e profondo. Il risultato è molto soddisfacente anche perché questo cinema italiano, anche se di genere, riesce a sollevare il livello di qualità di un’industria, spesso, arenata tra commedie banali ed esperimenti eccessivamente manieristici. Da vedere sicuramente.

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RIVISTO

LA RAGAZZA DEL LAGO, di Andrea Molaioli (Italia 2007, 95 min.).

Intenso, cupo, freddo. Ti fa sentire l’umidità dei luoghi raccontati fin dentro le ossa. Un giallo che racconta molto di più di un ritrovamento di una ragazza morta in una sperduta cittadina del nord est italiano.

Molaioli indaga sulle piccole comunità che apparentemente sembrano sincere e tranquille, ma che spesso nascondono bugie, invidie e rancori che fanno accapponare la pelle. Il tutto viene avvolto da una coltre di nebbia angosciante tipica dei laghi d’inverno. Un piccolo capolavoro che non ha età.

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