VISTO&RIVISTO Non solo esplosioni, inseguimenti e cadute nel vuoto

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di Andrea Minchella

VISTO

THE FALL GUY, di David Leitch (Stati Uniti 2024, 126/146 min.).

Puro intrattenimento. Esplosioni, elicotteri, cadute da centinaia di metri, inseguimenti nel deserto e una pioggia di milioni di dollari. David Leitch, ex stuntman, realizza una pellicola semplice che ha il solo scopo di divertire il pubblico per due ore, allontanandolo dalla banalità e dalla piattezza della vita vera.

Dimenticate il cinema sociale o di inchiesta perché “The Fall Guy” non ha nessuna pretesa, se non quella di racimolare più soldi possibili nel mondo. Ma non tutto il male vien per nuocere. Infatti “The Fall Guy” è ben scritto dal bravissimo Drew Pearce che riesce ad inserire dialoghi serrati in scene in cui la parola dovrebbe cedere il passo ad acrobazie mozzafiato e ad azioni adrenaliniche. Le sequenze, anche le più movimentate, non abbandonano quasi mai la parola e le battute che tengono uniti i personaggi del racconto. I due protagonisti Colt Seavers e Jody Moreno si rincorrono per tutto il film in un’appassionata storia d’amore che potrebbe vivere al di là della spettacolarizzazione estrema della pellicola.

Ryan Gosling, che assomiglia sempre di più al Ken a cui ha prestato il volto nel planetario” Barbie” dell’anno scorso, si adatta perfettamente al protagonista della storia. Stuntman caduto in disgrazia per un brutto incidente avvenuto sul set, si ritrova a fare il parcheggiatore in un vecchio e triste ristorante messicano. Richiamato perché la sua ex fidanzata Jody Moreno, all’epoca dell’incidente aiuto regista, sta per dirigere il suo primo film, torna sul set ma si renderà conto che a volerlo nel film non è stata Jody e scoprirà che il protagonista del film, di cui dovrà essere la controfigura, è misteriosamente sparito. Un po’ per senso del dovere, un po’ per cercare di riconquistare Jody, una esageratamente brillante Emily Blunt, Colt decide di mettersi sulle tracce di Tom, il protagonista del film sparito nel nulla. Qui comincia un altro film in cui Ryan Gosling, tra battute ironiche, scazzottate ed inseguimenti alla “Jason Bourne”, diventa l’assoluto mattatore del “kolossal” ambientato in Australia. Prevedibile lo scorrere degli eventi fino al finale che non poteva certo essere diverso da come Leitch ha deciso di raccontarci.

Il film, che è stato preceduto da una serie di eventi legati alle “première” che si sono svolte in tutto il mondo, non solo cariche di effetti speciali ma anche di trovate geniali come l’arrivo di Ryan Gosling e di Mikey Day nei panni di Beavis e Butt-Head già interpretati in una puntata del “Saturday Night Live”, è pieno di citazioni, parlate e figurate, di molti film che hanno basato il loro successo su scene spettacolari. Da “L’ Ultimo dei Moichani” alla saga di “Jason Bourne” ogni fotogramma del film riporta la mente dello spettatore a qualche sequenza del passato in cui gli stuntman hanno dato vita a scene epiche. Il film è tratto dalla serie televisiva di due stuntman che per arrotondare facevano i cacciatori di taglie, ritrovandosi spesso in scene rocambolesche anche fuori dai set in cui prestavano i loro corpi a famosi attori in scene pericolose.

Dunque David Leitch, che fino ad oggi ha realizzato film di ottimo successo al botteghino non sempre centrati nella sceneggiatura o nella storia, realizza forse il suo film più onesto e sincero, svincolandosi dall’eccessiva serietà che una certa muscolatura filmica di solito pretende di avere, sconfinando in una più sfacciata e grottesca comicità popolare che legittima molto di più produzioni come queste. È un po’ come mettere le “emoticon” dopo un messaggio serio e tagliente. Smorzare. Prendersi in giro. Questa è la capacità di alcuni autori di maneggiare film in cui l’intrattenimento è l’unica finalità che si vuole ottenere.

Film come questi fanno entrare nelle casse delle case di produzione parecchi milioni di dollari che dovrebbero, poi, reinvestirli anche in progetti, magari, più complessi e coraggiosi. Al di là, quindi, dello spessore di una pellicola va rilevata una certa sincerità stilistica e sostanziale che l’autore inserisce come elemento primario in tutta la sua opera.

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RIVISTO

PROFESSIONE PERICOLO, di Richard Rush (The Stunt Man, Stati Uniti 1980, 131 min.).

Un “mix” di generi per un film teso e serrato in cui il gigantesco Peter 0’Toole sorregge perfettamente tutta la pellicola sulle sue spalle. Seppur evidentemente datato per stile e grammatica, “Professione Pericolo” ci porta nei meandri dell’industria cinematografica restituendoci aneddoti e segreti che rendono questo mondo magico e spesso molto pericoloso. Da rivedere.

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