VISTO&RIVISTO Poetica e necessaria storia d’onore, partigiani e idrovolanti

visto rivisto porco rosso

di Andrea Minchella

VISTO

PORCO ROSSO, di Hayao Miyazaki (Kurenai No Buta, Giappone 1992, 92 min.)

Al cinema fino al 7 Agosto. Poi andatelo a cercare perché vale davvero la pena assistere ad una dichiarazione d’amore tanto originale quanto poetica da parte della leggenda giapponese dell’animazione nei confronti del nostro paese e della parte migliore di esso. Anche se realizzato nel lontano 1992 e distribuito in Italia solo nel 2010, “Porco Rosso” è uno di quei progetti che si stacca dall’epoca in cui è stato confezionato per diventare un racconto universale, fresco e potentemente evocativo.

Miyazaki si cimenta con l’Italia tra le due guerre. Decide di ambientare la sua storia in un paese tanto bello quanto martoriato dal sempre più dilagante partito fascista. Il protagonista della storia è Marco Pagot, un pilota dell’Aeronautica Italiana che durante il primo conflitto mondiale ha un brutto incidente e assume, misteriosamente, sembianze da maiale. Da quel momento decide di rimanere un pilota ma di andare a caccia dei molti pirati dell’aria che infestano il Mare Adriatico. Il suo idrovolante, un Savoia S.21 (che richiama gli idrovolanti costruiti realmente dalla Siai Marchetti), è colorato di rosso, da qui il nome di Porco Rosso.

Pagot, che ricorda Humphrey Bogart, sia per il carattere spigoloso sia per l’immancabile impermeabile, ricorda spesso le sue avventure da pilota dell’Aeronautica cercando di capire se e quando ha avuto una visione tanto poetica quanto soprannaturale di una fila interminabile di moltissimi idrovolanti che, sorvolando il suo velivolo, sembravano percorrere una rotta indefinita verso l’infinito. Miyazaki realizzando questa magnifica sequenza sembra voler celebrare le migliaia di piloti che durante le due guerre hanno sacrificato le loro vite diventando come un unico flusso di ricordi per tutti quelli che invece sono sopravvissuti. Questa scena, silenziosa e delicata, in cui marco Pagot, con le sembianze di un uomo, sorvolando il vuoto scorge sopra di sé quella fila fatta da puntini che, ad uno sguardo più attento, diventano idrovolanti e aeroplani dalle forme e colori diversi, giustifica la visione dell’intero racconto.

“Porco Rosso” diventa narrazione universale dell’artigianato bellico dell’Italia degli anni venti. Come la famiglia Piccolo di Milano, che mette a punto l’idrovolante Porco Rosso dopo che Pagot ha avuto un incidente a causa dell’americano Curtis, sempre in difesa dei pirati dell’Adriatico. Proprio dai Piccolo Pagot incontra Fio, una ragazzina sveglia e capace, che decide, contro la volontà di Pagot, di salire a bordo del Porco Rosso per assicurarsi che i lavori apportati all’idrovolante, eseguiti proprio da lei, siano stati corretti e ben fatti. Dunque il cammino del riservato pilota maiale si arricchisce di presenze femminili che addolciscono l’intera vicenda.

Anche Gina, una bellissima donna che conosce Pagot da sempre, fornisce alla narrazione una dose femminile e romantica che trasforma le avventure di Pagot. Gina, bellissima e misteriosa, gestisce un albergo raffinato nel Mar Adriatico. Tutta la scenografia ricreata da Miyazaki per ambientare il Mare Adriatico e l’isolotto su cui si trova l’albergo Adriano ricorda molto il Lago Maggiore su cui hanno volato innumerevoli volte i prototipi di velivoli e di idrovolanti che venivano costruiti nei vicini capannoni della Caproni o della Siai Marchetti. Questo denota la peculiare e millimetrica capacità del maestro giapponese di saper ricostruire un mondo in cui decide di sviluppare la sua storia. Non so se un italiano avrebbe potuto fare meglio.

Dunque “Porco Rosso” è una pellicola in cui si parla, in maniera leggera ma con poesia e sincerità, di resistenza, onore e amicizia. Solo un genio come Miyazaki poteva decidere di ambientare un suo progetto in un’Italia che cercava di opporsi al fascismo, sempre più violento e diffuso, che avrebbe compromesso per molto tempo la sua bellezza e la sua politica.

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RIVISTO

LEON, di Luc Besson (Francia 1994, 110/127/136 min.)

L’amore. Quello vero. Quello che non considera la fisicità. Quello che si instaura tra una bambina e un adulto. L’amore immenso e malinconico che viviamo per i nostri genitori. Luc Besson, dopo quattro anni dal capolavoro “Nikita” ci regala questa favola che ci commuove perché racconta qualcosa che, in fondo, tutti noi viviamo o abbiamo vissuto.

Jean Reno è gigantesco ma la vera sorpresa è Natalie Portman che qui ci descrive in maniera sorprendente le caratteristiche universali che un’attrice giovane deve avere. Forse l’ultimo vero capolavoro del regista francese.

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