VISTO&RIVISTO Un racconto ben scritto e ben disegnato

di Andrea Minchella

VISTO

5 E’IL NUMERO PERFETTO, di Igort (Italia 2019, 100min.).

Qualcuno direbbe “il libro è meglio del film”. In questo caso il libro è l’originale e strutturata “graphic-novel” ideata, scritta e disegnata dallo stesso Igort, artista che nella sua lunga carriera ha, con sorprendente spontaneità, abbracciato la musica, la narrativa, la grafica, fino a diventare regista, ora, di una sua opera fumettistica.

La storia, infatti, ha tutte le caratteristiche vincenti di un racconto lineare, chiaro e fortemente evocativo, caratteristico della bidimensionalità delle opere grafico-narrative. La sceneggiatura, asciutta e quasi didascalica, poi, rispecchia perfettamente la natura dei brevi fumetti che, nelle opere grafiche, sono le voci e i pensieri dei personaggi. Il vero problema di una trasposizione di un fumetto su pellicola è la difficilissima trasformazione di un’opera bidimensionale in un lavoro completamente tridimensionale in cui la profondità delle scene e delle inquadrature diventano il cardine di un buon lavoro cinematografico. E se la grammatica filmica non aiuta questo tipo di trasposizione, la scarna e sospirata ritmica dei dialoghi, vincente nei fumetti, diventa una pericolosa trappola in cui la dilatazione eccessiva del parlato rischia di appiattire sovente lo svolgersi della storia. Il peccato originale, infatti, di questi tipi di lavoro è, credo, voler a tutti i costi mantenere il più possibile la storia e il modo di raccontarla aderente al modo di rappresentarla sulle pagine di un fumetto, che sia breve o, come in questo caso, lungo un intero libro.

Rimane comunque un interessante progetto in cui Toni Servillo aggiunge una nuova rielaborazione del mitico “Eduardo” alla sua lunghissima e camaleontica carriera. La Golino e Buccirosso soffrono di una eccessiva plastificazione dei personaggi che interpretano. La storia, in fondo, ruota attorno a Peppino Lo Cicero, un criminale di una Napoli scura e disabitata, che mette in ombra, anche per la perfetta interpretazione di Servillo, personaggi e vicende secondarie all’impianto centrale.

Igort, magistralmente, toglie in maniera netta e chiara la musica dalla maggior parte delle scene, proprio per ricreare l’atmosfera che il lettore vive leggendo il fumetto. La storia si snoda in una realtà onirica, ma rimane adesa ad una Napoli reale degli anni 60, in cui tutta la tradizione della criminalità napoletana di quel periodo fa da sfondo all’intera vicenda. Reale e fantastico si fondono in una maniera innovativa ed equilibrata.

Nella seconda parte il film diventa più incalzante e avvincente, e la storia si trasforma in una vicenda più cinematografica e teatrale. Interessante e ben costruito il tributo di Igort alla cinematografia di Sergio Leone. Tutta la vicenda dello scambio dei prigionieri, infatti, è un’originale e gentile ricostruzione del mitico duello, poi ribattezzato “triello”, ovvero stallo alla messicana, tra Clint Eastwood, Eli Wallach e Lee VanCleef di “Il Buono, Il Brutto e il Cattivo” che, sotto un sole alla “Mezzogiorno di Fuoco”, altra citazione del regista, guardano e scrutano il nemico al loro fianco per un tempo interminabile. La scena è ben costruita tanto da rimanere, forse, la miglior reinterpretazione “westrern” che il cinema italiano abbia creato negli ultimi anni.

 

RIVISTO

SIN CITY, di R. Rodriguez, F. Miller, Q. Tarantino (Stati Uniti 2005, 124/142 min.).

In passato ci furono Dick Tracy o Batman. Nel 2005 il geniale Robert Rodriguez e l’amico Quentin Tarantino danno vita ad un progetto originale, ambizioso e surreale. Tratto dalla “graphic-novel” omonima di Frank Miller, che ne cura la sceneggiatura e la regia, “Sin City” crea uno spartiacque fondamentale per la futura realizzazione di film che siano ispirati a fumetti contemporanei, sempre più diffusi come i videogiochi, ovvero i loro “cugini” più giovani. E così assistiamo ad una rivoluzione assoluta, nella grammatica e nella forma, che trasferisce in maniera coerente ed assolutamente innovativa una storia letta e guardata in un libro, su un scuro ed umido schermo cinematografico. La didascalica e“pulp” cinematografia sia di Rodriguez, che nasce con il piccolo capolavoro “El Mariachi”, che di Tarantino, danno un valore aggiunto ad un progetto che sulla carta aveva spaventato molti artisti ad Hollywood.

Una storia divisa in capitoli che si sviluppa nella nera e bagnata Sin City, in cui delitti e criminalità sono l’unico collante che unisce i personaggi, perfettamente dipinti e colorati, in realtà il film si tinge di un grigio ghiaccio asfissiante, da due registi che non hanno mai risparmiato elementi barocchi nelle loro geniali produzioni.

Il film è riuscito perché, pur mantenendo le atmosfere di un fumetto, ci regala una spettacolare tridimensionalità propria di un racconto prettamente cinematografico. Da cercare e da rivedere con la consapevolezza che quasi quindici anni sono passati dalla sua data di uscita nelle sale.

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