Alfieri nella nuova segreteria Pd: «Peggio dei fascisti ci sono i fascisti pasticcioni»

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Il senatore varesino del Pd, Alessandro Alfieri

Alessandro Alfieri, senatore varesino del Partito democratico, Elly Schlein l’ha voluta tra i ventuno componenti della sue segreteria. Ma lei, senatore, alle primarie non tifava Stefano Bonaccini?
«Guardi, il Pd deve rimanere un partito plurale, come disegnato da Romano Prodi e Walter Veltroni. O così, oppure non è. Per dirla in un altro modo, un partito formato da persone con diverse provenienza culturale ma con lo stesso progetto capace di parlare alle nuove generazioni. Se dovesse cambiare pelle, sarei preoccupato. Non della possibile scissione, ma preoccupato dai silenzi e dal disimpegno. Per questo, con Bonaccini abbiamo pensato di accettare una gestione plurale, sinonimo di democrazia: con le nostre idee nel nuovo corso».

Ci vuole dire che le correnti, i capi, i cacicchi, tutte e tutti invisi a Elly Schlein, resisteranno comunque?
«Sono nel Partito democratico da tempo, ho visto i limiti delle correnti parlamentari. Sottoscrivo ciò che ha detto di recente Romano Prodi: o si sceglie un modello con un capo che decide per tutti oppure ci si affida a un partito comunità. Dove c’è sì un capo, ma tante persone che collaborano e decidono con lui».

Dunque?
«Se c’è un partito comunità è anche auspicabile che ci siano aree politiche culturali che producono idee. In quel caso è chiaro che siamo tutti in gioco. Mi batto per questo. Do il mio contributo di idee al partito, favorendo una cultura di governo».

Appunto, il governo: è vero che lo contrasterete senza remissione?
«Penso che dopo anni passati al governo con formule diverse abbiamo avuto necessità di qualche mese per riadattarci come partito. Detto questo non faremo sconti a questa destra. Che mescola elementi di dilettantismo a elementi di nostalgia rispetto a schemi ideologici del passato. E le due cose insieme sono quanto mai preoccupanti».

Senatore Alfieri, in che senso?
«Perchè peggio dei fascisti ci sono i fascisti pasticcioni. Dopo di che sarebbe sbagliata una opposizione ideologica, il governo Meloni va incalzato sui temi concreti».

Ci faccia qualche esempio.
«Daremo battaglia sulla sanità pubblica, per la quale si è persa una grande occasione con la legge di bilancio. Vediamo tutti i giorni le conseguenze di un simile sfascio, soprattutto in questa fase post-covid. Dopo di che saremo inflessibili sul versante del lavoro con la nostra proposta sul salario minimo. Per non parlare dell’utilizzo dei fondi del Pnrr».

In segreteria lei avrà il compito di occuparsi proprio di riforme oltre che del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
«Sono soddisfatto per questo e ringrazio la segretaria Schlein per la fiducia. Sono temi di maggior confronto con il governo: il Pnrr con l’assoluta necessità di spendere bene i 190 miliardi dell’Unione Europea. Poi, con le riforme, i temi del presidenzialismo, dell’autonomia differenziata, delle province».

Non proprio questioni di risulta, che ne dice?
«Ritengo che ci siano due temi di fondo. Il primo è l’errore fatto da questo governo di alimentare una sorta di pregiudizio dell’Ue ne suoi confronti. Ha messo subito in allarme Bruxelles mettendo in discussione proprio il Pnrr. Quindi ha posto riserve sulla riforma delle competitività e ha finito per rallentare anche la riforma della Giustizia. Situazioni che hanno di conseguenza rallentato la possibilità di staccare la cedola semestrale dello stesso Pnrr. Con Draghi era tutta un’altra storia; ora l’Europa si domanda che cosa sta combinando la Meloni e, soprattutto, ci possiamo fidare?».

L’altro tema di fondo?
«Bisogna cambiare passo, recuperando i ritardi nel mettere a terra i progetti. Non si tratta di una contrapposizione ideologica, come ho spiegato prima. Conosciamo anche la complessità della macchina burocratica e amministrativa, ma occorre cogliere a pieno le potenzialità del Pnrr, anche per i Comuni più piccoli. Ora il governo sta cercando di correre ai ripari. Sarebbe però utile al Paese se si mettesse in ascolto anche delle nostre proposte».

Riforme, in sintesi?
«No secco al presidenzialismo. L’Italia ha bisogno di un garante della Costituzione, di un arbitro, come è oggi Sergio Mattarella. Non serve un presidente/giocatore. Per difendere la storia del nostro Paese, quindi la sua capacità di tenuta e coesione, daremo di sicuro battaglia. Cosa diversa è discutere attorno all’efficacia dell’azione di governo, che non implichi però stravolgimenti della Costituzione».

Autonomia differenziata e province?
«Anche qui eviteremo contrapposizioni ideologiche. Ma non cederemo a un modello di neocentralismo regionale. Crediamo invece nel potenziamento dell’autonomia locale, a partire dai Comuni. Altrimenti, il rischio sarebbe di alimentare il divario tra Nord e Sud. E già oggi alcuni diritti fondamentali non sono garantiti in modo uguale su tutto il territorio nazionale».

Per il disastro delle Province avete anche voi delle grosse responsabilità. Come recuperare il discorso?
«Dovremo di sicuro trovare una sintesi anche all’interno del nostro partito: ci sono sensibilità e opinioni diverse persino rispetto al primo livello di forma elettiva delle province. Certo, un partito serio è anche quello che ammette che non tutto funzioni bene, che ci sono stati degli errori di valutazione. Oggi è indispensabile ritrovare un efficace livello intermedio tra Regioni e Comuni. Ambiente, strade, sicurezza, scuole hanno bisogno di una gestione serrata. Il problema si pone soprattutto per gli enti locali più piccoli. Lo vediamo anche per il Piano nazionale di ripresa e resilienza».

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