Arte cosmopolita e bellezze sotto casa, una targa celebra l’elefante di Bregazzana

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VARESELa statua dell’elefante di Bregazzana non testimonia soltanto le relazioni industriali strette a Varese all’inizio del secolo scorso, ma anche l’aspirazione cosmopolita che caratterizzò all’epoca il suo territorio: oggi, domenica 9 maggio, è stata inaugurata la nuova targa che celebra l’opera in bronzo realizzata dallo scultore Enrico Butti e commissionata da Angelo Magnani, nipote di Angelo Poretti fondatore del birrificio di Induno Olona. Alla cerimonia, insieme al sindaco Davide Galimberti e all’assessore Francesca Strazzi, erano presenti Emanuela Quintiglio, sindaco di Viggiù e l’associazione Amici di Bregazzana.

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La riscoperta del territorio

«I bregazzanesi sono fantastici e per me questo rione è quasi una seconda casa», ha dichiarato Strazzi, impegnandosi a promuovere più aperture del monumento che contraddistingue la cappella funebre dedicata alla famiglia Magnani. «La bellezza di questa statua mostra come una città possa essere cosmopolita; con l’installazione della sua targa si chiude un percorso, iniziato con il tour dei quartieri, per dare dignità a un pezzo di storia di Varese». Il ringraziamento di Galimberti si è esteso, dagli Amici di Bregazzana, a tutti i comitati rionali: «Ovunque, insieme alla riscoperta del territorio, è emersa già prima del Covid una grande voglia di partecipare. Qui viene rappresentato non solo il passato di Varese legato alle relazioni industriali, ma anche artistico. Valorizzare i quartieri e i monumenti che hanno fatto la storia della nostra città e della nostra provincia, consentendo così di riscoprire sempre più opere e bellezze sotto casa, è uno degli obiettivi che ci siamo dati cinque anni fa».

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Andare oltre la dimensione locale

«L’elefante non ha connotazioni religiose, la sua funzione si è trasformata nel tempo», ha spiegato Renata Castelli, curatrice del Museo Butti di Viggiù. Non era stato concepito come una tomba, era destinato al parco di Villa Magnani, con una struttura che potesse essere vista da tutte le parti». Angelo Magnani, che proseguì il viaggio industriale intrapreso da Poretti, commissionò all’artista viggiutese un’opera dallo stile differente, in un’epoca in cui la volontà, con l’arrivo di architetti dalla Germania per trasformare il birrificio secondo lo stile Jugendstil, era di andare oltre la dimensione locale. «I fregi non sono decorativi ma rappresentano un elogio del lavoro, dell’attività manuale. Butti, che fu aiutato dall’ingegnere varesino Ernesto Brusa, prese spunto dalla tradizione ottocentesca della scultura, creando un suo mondo iconografico. Ha riutilizzato alcuni elementi di un’altra sua creazione, il monumento ai Caduti a Gallarate».

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Gli elefanti dell’industria birraria

Daniela Penazzi, coordinatrice dal consiglio di quartiere 1, ha offerto ai presenti alcune suggestioni cosmopolite legate alla storia dell’architettura, mettendo a confronto gli elefanti dell’industria birraria: «La torre all’ingresso della fabbrica Carlsberg a Copenaghen, che risale al 1901, ne ha quattro e ricorda le fortezze di attacco degli antichi persiani e romani. In quest’opera c’è tutta la speranza di inizio secolo, la volontà di osannare i prodotti della terra e del lavoro. È stata però seguita dalle tragedie del Titanic e della Prima Guerra Mondiale. Nell’elefante che Magnani ha commissionato a Butti c’è la consapevolezza di quel che è successo: un conflitto e il decadimento della Bella Époque. Le statue raffigurano infatti una donna che porta i frutti del sacrificio e soldato stanco. In questo caso l’animale, simbolo di eternità, avanza nella boscaglia, accompagnato dal globo, che rappresenta le reti di comunicazione della Terra; il suo ruolo è di testa di ponte e indica l’asilo e la casa di riposo fondate dal suo committente».

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