Candidati sindaci a Varese e Gallarate, a Busto no. Ma non è colpa del Covid

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Siamo in piena fase pandemica, con tutte le incombenze, le preoccupazioni e i sacrifici che essa comporta. Una situazione che sta assumendo gli aspetti drammatici della scorsa primavera, forse e purtroppo anche di più. Ma non possiamo cedere al Coronavirus: la vita deve continuare. Come la politica. Supponiamo sia con questo spirito che oggi, sabato 7 novembre, il Partito democratico di Gallarate ha presentato il suo candidato sindaco per le elezioni del prossimo anno, una donna, Margherita Silvestrini. Scelta ampiamente prevista, che ora ha i caratteri dell’ufficialità. Non è poca cosa, dato il periodo. I piddini si portano avanti col lavoro nonostante nemmeno si intraveda l’uscita dal tunnel sanitario, al punto che il governo ha rinviato le consultazioni di secondo livello per le Province, in agenda a dicembre. Necessario posticiparle di alcuni mesi, anche se a ridosso della scadenza elettorale di molte città, tra cui Varese, Busto Arsizio e, appunto, Gallarate.

Tre appuntamenti che la diranno lunga sul futuro politico del nostro territorio, dove sinora ha dominato il centrodestra, ma col centrosinistra che ha ripreso forza negli ultimi mesi, anzi, nelle ultime settimane per la tornata delle amministrative. Proprio il recupero elettorale del Pd ha probabilmente convinto a lanciare per Palazzo Borghi una persona organica al partito, Margherita Silvestrini, abbandonando l’idea di rifugiarsi in un candidato sindaco espresso dalla cosiddetta e, in molti casi, sopravvalutata società civile.

Detto questo, non sono soltanto i dem gallaratesi a prepararsi per tempo in vista delle urne di maggio o giugno che sia. A Varese è scontata la ricandidatura a sinistra del sindaco uscente Davide Galimberti, mentre il centrodestra del capoluogo si affiderà nientepopodimeno che a Roberto Maroni, politico che non ha bisogno di biglietti da visita. Al di là delle velleità di qualcuno, anche Gallarate si dispone a ripresentare il primo cittadino leghista Andrea Cassani, sulla cui testa pende il rischio di un rinvio a giudizio nell’inchiesta Mensa dei poveri, ma a cui nessuno della coalizione sembra dare eccessiva importanza.

Chi arranca è, guarda un po’, Busto Arsizio. Il centrosinistra locale non è ancora pervenuto e, a destra, si attende che  Emanuele Antonelli decida se ripresentarsi oppure no. Attenzione, però. Non è scontato che un sì del sindaco oggi in quota Fratelli d’Italia si riveli risolutivo. I leghisti bustocchi pretendono che il candidato, dopo quindici anni di astinenza, vesta la loro casacca. E negli equilibri provinciali persino Forza Italia, o quel che ne rimane, anela a un posto di comando a Palazzo Gilardoni, possibilmente con quel Gigi Farioli che lo aveva già occupato per due mandati consecutivi.

Busto fa storia a sé, o, quanto meno, gliela faranno fare. Ma in questo momento fa la figura di chi ha le idee confuse. Certo, ci verranno a dire che prima di ogni altra cosa bisogna risolvere l’emergenza coronavirus. Una scusa persino plausibile, alla quale crederanno in molti. Il virus però c’entra come i cavoli a merenda. Il vero motivo dell’attuale traccheggio è duplice: a sinistra non sanno ancora che pesci pigliare; a destra sono bloccati da un sindaco, sinora sordo alle sollecitazioni  delle segreterie, che fa melina per scopi più o meno intuibili, quanto penalizzanti sulla via della chiarezza. Cifra, la chiarezza, che non lo ha mai entusiasmato.

Poi, è vero, mancano ancora parecchi mesi all’appuntamento elettorale. Un arco di tempo in cui potrebbe succedere tutto e il contrario di tutto. Benché sin d’ora, sul piano prettamente politico, Busto Arsizio si stia facendo bagnare il naso da Varese e Gallarate. Che a un certo punto potrebbero anche sganciarsi dalla città del tessile, abbandonandola al proprio destino politico e in barba a quegli equilibri provinciali che sinora l’hanno tenuta a galla.

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