“Controvento”: Salvini versus Draghi

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In "Controvento", Matteo Salvini critica Mario Draghi in funzione anti-europea

di Massimo Lodi

Nel libro Controvento di prossima uscita Matteo Salvini denunzia l’incapacità politica di Draghi, da lui sostenuto quando l’ex banchiere guidò l’esecutivo dopo la caduta del Conte2. Elenca una serie d’errori di metodo/merito, non si capisce perché rivelati ora e non allora: magari sarebbero serviti a cambiare nomi e migliorare modus operandi di quella squadra. Ma Salvini si zittì convenendogli zittirsi, salvo riprender voce quando sembrò opportuno sbarazzarsi del premier così da anticipare il voto. Credeva lui, e credeva Berlusconi, che la destra avrebbe vinto facile: era il momento. E difatti lo era: vinse. Ma non credeva lui, e non credeva Berlusconi, che la Meloni avrebbe stravinto, soffiando a entrambi il passaporto per Chigi.

Da lì in poi è stato calvario politico: portare la croce del consenso, sia pure non un grande consenso, nella processione celebrativa dell’ex underdog. Una beffa. E ora che lei fa intendere: sì, ok, viva l’eventuale riconferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Ue, però se fosse calata la carta Draghi, ecco, non sarebbe un dramma; neppure un intralcio: persino una fortuna, forse. Ecco, ora che questo filtra dai retrobottega della partitocrazia, Salvini si mette di mezzo: coerente nello spirito di rivalità con Meloni, fa circolare un pensiero opposto. Lui è contrario, ma proprio contrario, a un Draghi eventuale epigono della presidente tedesca. Questione di concorrenza nelle urne: Meloni punta a prendersi suffragi conservatori, Salvini suffragi radicali. E fin qui ci sta.

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Massimo Lodi

A non starci è il difetto di stile verso Supermario, cui toccò -per volere di Mattarella- il gravoso compito di tirar fuori l’Italia dalla crisi pandemica ed economica dov’era precipitata, sovrintendendo a una coalizione di sostanziale unità nazionale (ne rimase esclusa solo Giorgia, ma assicurando lealtà sul piano dei rapporti internazionali). Raccontare oggi passaggi di colloqui riservati -primo dei quali quello relativo alla possibile ascesa di Draghi al Quirinale- rappresenta un’infrazione etica al non detto nelle relazioni tra leader, specialmente quand’essi rivestono incarichi istituzionali. Ciascuno è libero d’andare Controvento come gli pare, ma gli altri son liberi di farsi un’idea negativa, fortemente negativa, d’un tale atteggiamento. E infatti il silenzio dei sodali di partito (i governatori Zaia e Fedriga ad esempio, per non dire del ministro Giorgetti, fedelissimo dell’ex presidente Bce) sta facendo molto rumore dopo le anticipazioni sul libro, e idem il mutismo degli alleati di governo.

Si dirà che in campagna elettorale tutto è lecito, e figuriamoci se non lo è il disinvolto/strumentale recupero di freschi retroscena storici. Ma il confine con l’opportunità è sottile, e non essersi accorti d’averlo superato lascia come minimo perplessi. Come massimo, stupefatti. È singolare che alla tesi d’un italiano possibile candidato al vertice dell’Europa risponda l’antitesi d’un altro italiano che ne mina i titoli a proposito di capacità manovriera, intuito gestionale, visione strategica. Un andare Controvento che rischia di condurre lontano dal porto la barca del consenso. Non di Draghi. Di Salvini. Costretto fra l’altro nelle ultime ore a navigare tra gli scogli d’una classe dirigente selezionata nel Sud senza troppa perspicacia, a vedere quanto accade di giudiziario a Catania. L’espansionismo meridionale contestato dai settentrionalisti non è più quello di cinque anni fa, proprio quando si scelse il Parlamento di Strasburgo. Cosa succede ad andare Controvento, sentenzierebbero i fondatori padani dell’84.

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