Corsa allo scranno tra defezioni, velleità e imposizioni

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L’onorevole Giusy Versace che, dopo aver battibeccato soltanto sabato scorso in difesa delle candidature paracadutate in provincia di Varese, sbatte la porta in faccia a Forza Italia testimonia, se mai ce ne fosse bisogno, qual è il livello di tensione e confusione nei partiti in vista delle elezioni di settembre. Non sappiamo quale siano invece i veri motivi che, a sole 48 ore di distanza dal coordinamento provinciale berlusconiano, abbiano indotto la parlamentare dal cognome importante, trasferita politicamente nel Varesotto, a cambiare atteggiamento e ad abbandonare il campo azzurro. Le giustificazioni di facciata vanno prese per quelle che sono (“Non mi riconosco più in Berlusconi”); sullo sfondo fa però capolino un disagio profondo, che sostiene anche altre defezioni eccellenti sul territorio. Una su tutte: quella del galantuomo Marco Riganti, per anni un signore della politica locale, deciso al grande passo dopo “l’irresponsabile” licenziamento in Senato di Mario Draghi.

Vero è che la questione delle candidature, ridotte di numero in virtù della nuova legge ad excludendum, diventa una polveriera per alcuni partiti. Ci raccontano che anche nella Lega il confronto sia accesissimo, “roghi” interni per definire ritorni a Roma o nuove investiture. Tutto senza il tempo necessario per un dibattito che analizzi in modo approfondito meriti e demeriti, possibilità e velleità, scenari e conseguenze. Col risultato che alla fine decideranno d’imperio i vertici, Silvio Berlusconi e Matteo Salvini, come è già accaduto in passato, in situazioni normali, figurarsi adesso. Decisioni sulla base di chi, tra i possibili candidati, offre la maggiore affidabilità. Perché una cosa sembra certa per il parlamento che andrà a insediarsi: c’è bisogno di uomini e donne fidati, parlamentari che non facciano capricci e rispondano senza se e senza ma ai capi. Insomma, più che truppe, pretoriani pronti a tutto pur di tenere fede alla bandiera. Soprattutto, dalle radici ben piantate nelle segreterie per evitare cambi di casacca che, in funzione dei tagli di scranni, potrebbero rivelarsi esiziali.

Data la crisi di abbondanza di eventuali candidati, perlomeno nella Lega, le decisioni prima del voto andranno prese alla svelta e senza intoppi procedurali. Gli stessi intoppi di cui sembra (al momento) non soffrire Fratelli d’Italia che, per restare a Varese, ha meno pretendenti degli alleati di centrodestra e, quelli che sono in gara, appaiono schieratissimi. Quanto meno fino a prova contraria e al netto di battaglie sotterranee che, tenute al coperto, danno l’impressione di una diversa predisposizione pre elettorale.

Persino nel Partito democratico che, sulla carta non dovrebbe avere problemi di sorta, c’è chi batte il chiodo della territorialità. Poche le chance di portare nella capitale un paio di esponenti varesini: l’unico (quasi) certo della riconferma è il senatore Alessandro Alfieri; il secondo parlamentare dipenderà dall’esito delle urne, quindi dalle scelte degli elettori. Ciò a dire che persino il Pd teme blitz esterni alla locale sezione, che impongano candidati che non abbiano nulla a che fare con la provincia di Varese. Ricordando infine l’affollamento al centro, dove si agitano partitini e cespugli, pronti a una alleanza nel nome di Draghi, priva ancora di chiarezza e di certezza, frequentata però da una pletora di personaggi in cerca d’autore. Segno che l’aria che tira è oggi davvero pesante.

Una situazione determinata in larga parte dalla riduzione del numero di deputati e senatori, dalla rivisitazione al ribasso dei collegi elettorali, da un contesto politico che è costretto a fare i conti con i tempi ristretti a disposizione prima del voto. Per giunta nel periodo ferragostano, destinato non solo per definizione a ben altre incombenze che non alla politica. E, per la politica, ora alla campagna elettorale. Nell’auspicio che tutto questo nervosismo tra i partiti non incida sulla tranquillità di un elettorato già a sufficienza traumatizzato da vicende molto serie e, appunto, preoccupanti; una politica purtroppo dedita al parapiglia, che non lascia ben sperare.

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