Delitto Macchi, bloccato il risarcimento a Binda. Ricorso della Procura Generale

MILANO – La Procura Generale di Milano ha impugnato davanti alla Corte di Cassazione la decisione dei giudici della quinta Corte d’Appello di Milano che lo scorso 12 ottobre aveva accolto l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione presentata da Stefano Binda (nella foto) liquidando al 53enne, accusato di aver ucciso la giovane studentessa varesina Lidia Macchi e poi assolto in via definitiva, oltre 303mila euro a titolo risarcitorio.

Tre anni in carcere da innocente

Binda era rimasto in carcere tre anni: condannato all’ergastolo in primo grado, era poi stato assolto con formula piena sia in Appello che in Cassazione. In occasione del terzo grado di giudizio fu lo stesso Pg di Cassazione a chiedere l’assoluzione per il 53enne di Brebbia. Che ora dovrà attendere prima di poter incassare il risarcimento liquidatogli a compensazione dei tre anni ingiustamente trascorsi in carcere.

Il ricorso della Procura Generale

Secondo quanto riportato da Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di oggi, sabato 29 ottobre, il ricorso presentato non dal Pg Gemma Gualdi, che sostenne l’accusa contro Binda, ma dalla collega Laura Gay, si fonda sul fatto che Binda si è in più occasioni avvalso della facoltà di non rispondere. Questo dopo aver reso piena testimonianza in sede di interrogatorio davanti al Pm dove ha sempre affermato la sua innocenza e la sua estraneità al delitto. Lo stesso Ferrarella definisce “sdrucciolevole” l’argomento superato dalla normativa sulla presunzione di non colpevolezza in vigore dal novembre scorso.

Risarcimento congelato

La Procura Generale citando una sentenza della IV sezione di Cassazione di quest’anno sostiene, in sintesi, che il silenzio dell’indagato, che pur rientra nel diritto di difesa, costituisce elemento tale da avvalorare indizi di colpevolezza sui quali fonda la misura di custodia cautelare. Il risarcimento ottenuto, per ora, rimane congelato in attesa della decisione della Massima Corte.

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