Elezioni, tutti in soccorso del vincitore

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Sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, Antonio Polito ha dedicato un editoriale al cosiddetto “effetto band wagon”. Tradotto: sei convinto o, più semplicemente, prevedi che vincerà le elezioni il partito di un certo leader e, per questo, sali sul suo vagone. In altri termini, ti riposizioni in anticipo sui possibili e probabili esiti delle urne. Più prosaicamente: salti sul carro del vincitore. Scontato rammentare il pluricitato aforisma di Ennio Flaiano: “Gli italiani corrono sempre in soccorso del vincitore”.

Accade anche qui da noi, in provincia di Varese, con alcuni esponenti politici di centrodestra, di matrice forzista e leghista, che hanno annunciato di schierarsi il 25 settembre con Giorgia Meloni, accreditata di un ampio vantaggio su alleati e avversari. I suoi inediti estimatori giustificano le loro scelte con dissensi sulla linea politica di Berlusconi e Salvini, smentendo che sullo sfondo facciano premio incarichi istituzionali a loro negati o, peggio, basse questioni di bottega. La cosa, al netto delle secondarie gerarchie politiche dei diretti interessati,  potrebbe anche passare in secondo piano. Se non fosse che queste decisioni personali, nell’attuale scenario di povertà dialettiche e culturali, fanno notizia. Di più, richiamano un atteggiamento diffuso anche nell’elettorato, specialmente in quei cittadini che non hanno ancora deciso per chi votare. Nel segreto della cabina elettorale danno il loro consenso proprio al partito in testa nei sondaggi, contribuendo addirittura a confermare, se non addirittura a favorire un eccesso di consensi rispetto alle previsioni degli analisti. Polito ricorda a questo proposito quanto accadde con Renzi alle Europee del 2014, con Grillo in quelle nazionali del 2018, con Salvini alle Europee del 2019. Tutti e tre superarono a sorpresa e abbondantemente il 30 per cento. “Potrebbe succedere anche alla Meloni? Potrebbe” chiosa l’autorevole ‘corrierista’.

Siamo al cospetto di una sottovalutazione collettiva del diritto/dovere di voto. Conseguenza dell’assuefazione a un certo modo di fare politica in Italia, che genera la disillusione e la sfiducia. L’involuzione dei comportamenti degli stessi politici, attorno ai quali sarebbe pleonastico soffermarsi tanto sono risaputi, aiuta a formare il disinteresse di massa. Al voto d’opinione o meditato e consapevole si preferisce il disimpegno, fino al punto che si vota, se si vota, senza una vera convinzione: in modo automatico e acritico si sceglie il vincitore designato. Colpa del sistema, non c’è dubbio. In molti puntano il dito anche sulla sciagurata legge elettorale, che impedisce di dare preferenze ai singoli candidati. Di sicuro sono deleterie le notizie sulla facilità con cui un politico cambia casacca, ai  livelli alti (supposto che esistano ancora livelli alti) fino al più insignificante dei contesti pubblici.

Come qui da noi a Varese. Come in parlamento. Basta un dato: in questa legislatura, fino al mese di giugno i cambi di gruppo sono arrivati a quota 332. Alla Camera i deputati coinvolti sono stati 146 per un totale di 198 cambi di gruppo. A Palazzo Madama i riposizionamenti totali sono stati 134 e hanno visto protagonisti 73 senatori. Ciò a dire che sia a Montecitorio sia al Senato vi sono parlamentari che hanno effettuato il “salto della quaglia” due o anche tre volte in una sola legislatura. Tutti dettati da convincimenti politici veri, da ripensamenti  ideologici concreti, o da cos’altro? Se gli esempi sono questi, se la coerenza e la rettitudine si trasformano in sciatteria e opportunismo, perché un cittadino dovrebbe preoccuparsi di votare con senso di responsabilità politico e civico?

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