Gallarate, la Cardiologia chiude. Canziani: “Vanificata la storia, cure a rischio”

malnate cuore canziani
Il professor Roberto Canziani

Dal professor Roberto Canziani, primario emerito della Cardiologia del Sant’Antonio Abate di Gallarate, riceviamo e pubblichiamo.

“Carissimo Direttore,
leggo oggi la notizia della chiusura della cardiologia del Sant’ Antonio Abate di Gallarate. Sono veramente costernato, vedo vanificata una storia esaltante di un reparto essenziale per il nostro Ospedale e vedo tutto ciò in assenza di una anche minima reazione da parte dei cittadini a differenza di quanto successo in altre realtà anche vicino a noi. Parlo di una storia esaltante perché fatta di conquiste passo dopo passo che ha avuto come protagonisti pazienti critici, ad elevato rischio di vita, parlo di medici che tanto hanno dato , singolarmente e in gruppo per far crescere una cultura cardiologica locale e conquistare uno spazio di tutto rilievo nella nostra regione, parlo di personale non medico a cui sono stati chiesti sacrifici e disponibilità per rendere la degenza meno problematica, tutti attingendo alle singole risorse umane realizzando un rapporto di preziosa empatia fra operatori e pazienti. Forse è giunto il momento di ripercorre questa storia, di ricordare un passato per capire un presente che appare sconfortante.

Il 1 aprile 1978, sulla spinta di una rivoluzione che stava cambiando nel mondo il destino dei cardiopatici e soprattutto degli infartuati veniva inaugurato un Servizio di cardiologia nel Santi’Antonio Abate. Il servizio contava all’inizio di cinque unità con un primario Maestro, il prof. Giovanni Piva che portava una cultura cardiologica internazionale. Si era formato alla scuola della grande Cardiologia mondiale dei Sodi Pallares, dei Chavez, dei Cabrera, una scuola che aveva formato altri grandi fondatori della Cardiologia italiana. Partivamo in pochi garantendo per la prima volta una consulenza specialistica di veri cardiologi ai reparti dell’ Ospedale con presenze diurne e reperibilità notturna, questa garantita da un medico presente in ospedale in una cameretta anche di notte. Venivano altresì garantite prestazioni ambulatoriali cardiologiche giornaliere per Pazienti esterni.

Dopo un anno veniva aperta un’ Unità Coronarica meglio definibile come Unità di Terapia Intensiva Cardiologica, UTIC, aperta a tutte le emergenze cardiologiche e non solo per i soggetti con malattia coronarica, con un incremento minimo dell’ organico medico e con la formazione di personale infermieristico ad orientamento specialistico sui pazienti critici. Allora, in quegli anni l’apertura delle UTIC aveva permesso di ridurre la mortalità per infarto miocardico acuto (IMA) dal 30% dei reparti medici al 16%. Nelle UTIC italiane si sviluppò poi la seconda rivoluzione nella terapia con l’introduzione del concetto di riperfusione coronarica mediante l’utilizzo di farmaci trombolitici in grado di sciogliere il Trombo che chiude la coronaria responsabile , salvando la porzione del muscolo cardiaco interessata. Fu l’epoca dei grandi studi GISSI presi a modello in tutto il mondo e Gallarate fu uno dei Centri che dette un grande contributo al successo degli studi. La strada oramai era aperta per la terza rivoluzione, con l’avvento della coronarografia e degli interventi di by pass aortocoronarico prima , con l’introduzione dell’angioplastica e del posizionamento di stent poi. La mortalità drammatica del 30% dei primi anni ‘70 cadeva clamorosamente al 3%, compresi i grandi anziani.

Che succedeva della Cardiologia di Gallarate in questi anni? Si passava da quattro letti di UTIC situati al quarto piano del padiglione medico, scomodo e lontano dal Pronto Soccorso ad una situazione logistica più consona, vicino al Pronto Soccorso e alla Rianimazione che veniva inaugurata contemporaneamente. Si riducevano i ritardi di soccorso intraospedalieri ed iniziava una collaborazione nell’emergenza fra cardiologi e anestesisti rianimatori, che tra l’altro costituiva un supporto indispensabile per i reparti chirurgici. L’UTIC passava a 6 letti e si apriva un reparto post intensivo, adiacente di 8 letti. Nel frattempo si iniziava a impiantare i PM inizialmente con stimolazione di una singola camera , il Ventricolo destro e poi con l’evoluzione tecnologica con stimolazione “fisiologica” di atrio dx e ventricolo dx fino all’impianto di defibrillatori e PM biventricolari nei casi di insufficienza cardiaca, seguendo tempestivamente l’evoluzione delle linee guida, dei materiali e dei dispositivi.

E per quanto riguardava la diagnostica? Una grande evoluzione era avvenuta nel tempo. Quando iniziammo la nostra attività disponevamo di un solo poligrafo che consentiva la registrazione dei “rumori” del cuore e di alcune tracce dei movimenti del cuore e dei vasi e la diagnosi veniva formulata su misure, calcoli raffinati a prova delle capacità deduttive del medico, delle capacità di sintesi tra quanto si ascoltava e quanto si registrava su carta. In quegli anni comparivano i primi Ecografi, monodimensionali, che consentivano di “vedere” seppure su un solo piano le strutture del cuore, i loro movimenti! Il passo successivo fu quello dell’ avvento dell’ ecografia bidimensionale e le immagini divennero “realistiche”. Dalla cultura dell’intuizione clinica si passò a quella della visualizzazione…

Ebbene le Amministrazioni che si erano succedute avevano sostenuto e investito sulla Cardiologia per mantenerla sempre a livelli di avanguardia consentendo e favorendo lo sviluppo tecnologico e culturale di un reparto fino a realizzare una struttura complessa di otto posti letto UTIC e 24 di degenza ordinaria. Si arrivò così a costruire anche una moderna Emodinamica, passando prima attraverso una Emodinamica mobile, su un “camion” come lo definivano i visitatori che entravano in ospedale. Questo mezzo, usato da tanti altre strutture ospedaliere, ci aveva permesso di risolvere il problema del trasporto dei pazienti per coronarografie in diversi ospedali: Varese, Novara, Rho, con grande disagio degli assistiti e dispersione di personale medico e infermieristico impegnato su questi viaggi della speranza, non scevri da rischi… Nel 2000 fu realizzata la struttura di Emodinamica, la seconda dopo Varese in un ospedale pubblico nella provincia dove incominciammo a eseguire anche le angioplastiche primarie nell’infarto acuto riducendo i tempi di attesa (il tempo è vita in questi frangenti) migliorando nettamente la prognosi dei pazienti infartuati.

La “famiglia cardiologica” era nel frattempo cresciuta. Lasciai, per pensionamento, nel giugno 2010 la Cardiologia con un organico di 15 medici strutturati, di due contrattisti e di una psicologa, questa pagata per anni con borsa di studio da Ama il tuo Cuore, associazione fondata nel 1991 e che ha contribuito con l’acquisto di letti e attrezzature varie. Il reparto aveva anche una convenzione con l’Universita’ dell’Insubria per la formazione di specializzandi. Fummo fra i primi ospedali a valutare il rischio di morte in culla del neonato, con ECG seriati nei primi mesi, inizialmente osteggiati per non incrementare la spesa (sic!), realizzammo uno dei primi ambulatori dedicati all’ipertensione arteriosa collegati con ANMCO, producemmo anche un film “l’Amico Ritrovato” utilizzato nella scuola secondaria per i programmi di prevenzione delle malattie cardiovascolari.

Ora, il 1 giugno il reparto viene chiuso, per l’Ospedale un balzo indietro, agli anni ‘70, perché? Perché una dispersione di un patrimonio professionale, umano, culturale costruito con tanta passione e sostenuto dalle Amministrazioni precedenti? Mi si risponde per l’ospedale unico, che tuttavia ancora non vedo… Dove finiranno i pazienti critici con IMA, con aritmie minacciose? anche giacenti in reparto medico o chirurgico ? Proprio non era possibile arrivare a un processo di integrazione con Busto, per esempio risparmiando sulle reperibilità notturne di Emodinamica? Oppure realizzando modelli unitari per le gestioni ambulatoriali? Perché assistere ad un impoverimento dell’organico progressivo con “ fuga”, si fuga, perché di questo si tratta , di tanti medici in questi anni?

Ho voluto raccontare sinteticamente la storia della cardiologia, perché è la storia emblematica di una possibile evoluzione della sanità in generale che si vorrebbe gestita in modalità aziendale, ma la nostra azienda produce salute, benessere fisico e psicosociale, deve evitare ritardi e disagi per gli ammalati. Tutti devono concorrere a questo scopo medici, politici, pazienti stessi. Le realtà cardiologiche, le altre realtà specialistiche italiane operanti nel pubblico e nel privato hanno raggiunto vertici culturali e operativi che costituiscono modelli esemplari nello scenario sanitario mondiale. Salviamoli!”

Roberto Canziani

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