Quanto guadagna un prete? Il prevosto di Gallarate svela il suo stipendio

GALLARATE – In media, quanto guadagna un prete? Prova a spiegarlo il prevosto di Gallarate, don Riccardo Festa, toccando diversi punti del sistema di retribuzione e costi: stipendi minimi, indennità e spese a carico personale e non. Oltre a tutte le varianti di reddito che permettono di affrontare mese per mese. Un quadro generale, quello offerto da don Riccardo, che parte proprio dal suo salario netto: 1.293 euro al mese, per essere il responsabile della comunità pastorale, che include quattro parrocchie (Santa Maria Assunta, Madonna della Speranza, San Giorgio in Cedrate e San Paolo Apostolo in Sciarè). Una cifra totale che permette di affrontare senza problemi le sue giornate, visto che non deve sostenere i costi dell’affitto o del riscaldamento di casa. Mentre sono a suo carico eventuali collaborazioni per la vita domestica.

La quota minima

Don Festa parla di un’entrata netta minima per i preti stabilita dai vescovi italiani, ovvero 1008 euro al mese. Ma non sono previste né tredicesima, né altre gratifiche, ricorda nel suo intervento su “Insieme”, notiziario della Comunità pastorale san Cristoforo di Gallarate. Inclusi invece gli scatti di anzianità. Per i parroci o i vicari di più parrocchie, c’è l’opportunità di ricevere circa 50 euro in più ogni mese, mentre viene data un’indennità a chi svolge la funzione di decano.

Le attività retribuite

I sacerdoti risultano lavoratori dipendenti dell’Istituto centrale sostentamento del clero, di cui sono responsabili i vescovi italiani (Conferenza Episcopale Italiana). Da qui parte il sistema di retribuzione: «L’Istituto versa allo stato i contributi per la pensione». E non solo quelli, proprio come accade ai dipendenti in generale. E se un prete, oltre a essere una guida spirituale, esercita un’altra attività retribuita – come ad esempio, l’insegnante – si aprono allora due varianti. Se l’impiego gli garantisce un’entrata mensile inferiore alla quota minima indicata, «il suo reddito viene integrato dall’Istituto in modo da raggiungere la quota minima». Se invece i profitti dell’attività superano il limite minimo, «il sacerdote trattiene quello che guadagna, ma non riceve nulla dall’Istituto».

I contributi dalle parrocchie

Una parte dei soldi dello stipendio, prosegue il prevosto, «vengono dati al sacerdote dalle parrocchie, in relazione al numero degli abitanti». Il resto invece arriva proprio dall’Istituto di Sostentamento del Clero, ovvero dall’8xMille devoluti alla Chiesa cattolica alla dichiarazione dei redditi. La quota che spetta alle parrocchie, in proporzione, maggiore: «Nel nostro caso, il parroco riceve in totale 867 euro dalle parrocchie, mentre 426 vengono dall’Istituto». Per i vicari, la quota complessiva che ricevono, sempre dalle parrocchie, «è di 218 euro ciascuno».
In questo senso, un’ulteriore quota è prevista sotto altre voci «che possiamo chiamare rimborsi spese». Per la Comunità pastorale gallaratese «è di 300 euro». Alla quale il parroco ha rinunciato «per varie ragioni: soprattutto perché in questo momento non ne ha bisogno». Le cure sanitarie sono coperte da una buona assicurazione.

Contribuire ai progetti pastorali

«È un impegno morale dei sacerdoti l’uso parsimonioso delle proprie risorse economiche», conclude don Riccardo. Senza dimenticare la raccomandazione sempre valida per i sacerdoti di «contribuire con i loro risparmi alle urgenze pastorali della Chiesa». Sì, perché «le indicazioni che riceviamo in seminario raccomandano di fissare un tetto massimo al risparmio da tenere in banca, giusto il necessario per sostituire l’autovettura che si è guastata o per fare qualche trasloco e poco più. Il resto deve essere destinato a progetti pastorali».

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