Hanno cancellato lo scudocrociato. Comunisti!

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Ogni campagna elettorale ha il suo momento grottesco. Quella in corso, che in provincia di Varese, anche soltanto per il fatto che vanno al voto le tre principali città, rappresenta un decisivo test politico a valle dell’inchiesta Mensa dei poveri e in coda al terribile periodo pandemico, lo trova nella decisione di cassare i simboli della Rinascita della Democrazia Cristiana perché rimandano a un segno religioso. Una croce stilizzata, due pennellate date con finta noncuranza da grafici di scuola, diciamo così, contemporanea, ma con lo sguardo, la mente e lo spirito rivolti al passato. Anzi, alla storia di un partito, appunto la Democrazia cristiana, che dal Dopoguerra fino agli anni Novanta ha riassunto il suo pensiero proprio nello scudocrociato.

Non scherziamo, possiamo essere contrari alle ideologie e alle scelte del partito fondato da don Luigi Sturzo, ma non si può passare sotto silenzio l’eccesso di zelo di commissioni elettorali che, a quanto sappiamo, si rifanno a una vecchia legge che, giusta o sbagliata che sia, impedisce di raffigurare immagini religiose nei loghi delle liste elettorali. Ora, quelle due pennellate nel logo di Rinascita della Dc tutto potevano evocare tranne una situazione diversa da un’occasione di ritorno al passato, legata a un partito che per più di settant’anni ha guidato, nel bene o nel male, il nostro Paese. E ha comunque garantito, pur tra alti e bassi, discusse adesioni clericali, contraddizioni e oscure trame con forze occulte, la libertà.

Il gallaratese Carlo Senaldi, già sottosegretario in un paio di governi della cosiddetta Prima Repubblica, insegue con pervicacia il tentativo di rimettere in piedi la Balena Bianca, così definita dal grande Giampaolo Pansa, inarrivabile battutista e giornalista politico. Senaldi, radici saldamente dorotee, ci ha provato in mille modi. Ha trovato sostenitori importanti, ma anche avversari cocciuti e di sicuro interessati,  che hanno provato a intestarsi lo scudocrociato. Sono nate cause giudiziarie e infiniti contenziosi, dei quali, in tutta sincerità, abbiamo perduto le tracce. Alla fine, Senaldi si è ritirato nel Varesotto e, ad ogni elezioni, schiera la “sua” Rinascita della Democrazia cristiana. Stavolta ha dovuto fare i conti con l’occhiuta burocrazia di chi gli ha inventato l’ostacolo di un simbolo giudicato impresentabile perché fuori legge, e lo ha bocciato. Un’offesa alla storia politica italiana, non soltanto a chi, con legittime convinzioni, insiste nel voler far rivivere la Dc. Sono decine le “fotocopie” rivedute e corrette del logo democristiano nel corso degli ultimi vent’anni, lungo tutta la Penisola. Nessuno se n’è mai accorto prima? Solo ora, a Busto Arsizio e Gallarate è stata data una pedata alla croce inserita nello scudo Libertas che ha contraddistinto per decenni il maggior partito dell’arco costituzionale, le sue battaglie, le proposte politiche, le liti ideologiche, anche quelle interne sostenute dalle correnti, i suoi uomini e donne. Uno su tutti: Aldo Moro.

Può essere che la burocrazia abbia improvvisamente visto giusto, che i solerti funzionari che hanno deciso di cancellare quella croce abbiano formalmente ragione. Di sicuro hanno torto sotto il profilo della ragionevolezza: non bisogna essere democristiani per convincersene. Dopo tutto, come sostengono in molti, è vero che la Dc non è mai scomparsa, si ripresenta sotto mentite spoglie, ma continua la sua azione dentro gli apparati istituzionali e partitici. Moriremo tutti democristiani, si affermava una volta. Nonostante i burocrati che, anche loro sotto mentite spoglie, ci ricordano che esistono ancora i comunisti, come sospettano i molti superstiti della Balena Bianca. Naturalmente si tratta di un’iperbole in un’epoca in cui la politica è sempre più liquida e il buon senso sta andando a farsi friggere. E le contrapposizioni, come le sciocchezze, lo scarso senso del ridicolo e i paradossi, resistono, non moriranno mai.

La croce della DC bocciata nei simboli a Busto e Gallarate: è un segno religioso

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