I 75 anni del Senato, le canzonette e il valore dell’onestà intellettuale

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Gianni Morandi e Carlo Cottarelli, in modi diversi protagonisti a Palazzo Madama

Ci sta Gianni Morandi in concerto, nell’austera Aula del Senato, per celebrare i 75 anni dalla prima riunione in epoca repubblicana? Morandi è una delle icone della “cultura musicale italiana”, come ha sottolineato il presidente Ignazio La Russa, e, evidentemente, ha il pass per cantare alcuni dei suoi successi davanti a Sergio Mattarella, Giorgia Meloni, mezzo governo e i senatori eletti in questa legislatura. Un medley conclusosi con la standing ovation dell’autorevolissimo pubblico. Il quale – ma è una nostra supposizione – ha maggiormente gradito la leggerezza celebrativa di un brano (a caso) come “Fatti mandare dalla mamma” alla lezione storico/istituzionale dei professori Ernesto Galli della Loggia e Giuseppe Parlato, del giornalista Stefano Folli, dell’ex ministra Anna Finocchiaro nella stessa mattinata; gradimento esplicitato canticchiando le canzoni proposte da Morandi.

Meno timido, quasi fosse a una riunione conviviale fra ex compagni di scuola, Matteo Renzi, che si è lasciato andare sulle note dei diversi brani. Evviva il compleanno del Senato in perfetto La Russa style. Poi, per carità, da quell’8 maggio del 1948 è cambiato il mondo, e si può anche derogare a certi protocolli istituzionali che alle canzonette (seppure d’autore) preferirebbero momenti musicali meno frivoli. Così, per solennizzare un evento che è sì di popolo, che si vorrebbe popolare, ma che rimane di portata storica per il nostro Paese.

Allo stesso modo, prese le debite misure, ci paiono a loro modo storiche le annunciate dimissioni di Carlo Cottarelli da Palazzo Madama. Libero lo definisce “un perdente di successo”. La sua è però una scelta di coerenza: “Mi trovo a disagio nel Pd di Elly Schlein, troppo spostato a sinistra”. Tanto a disagio da abbandonare il laticlavio. La prassi, anzi, la cattiva prassi italiana in simili casi è di cambiare casacca, mantenendo il seggio. Cottarelli, invece, pare abbia respinto anche le sirene di altri gruppi, pronti ad accoglierlo fra le loro braccia: uno dei più accreditati economisti del nostro Paese non può essere lasciato andare così. Invece, lui se ne va proprio così, senza alzare la voce, senza cercare scuse o compromessi, senza accettare più comodi rifugi politici, che gli avrebbero tra l’altro garantito la ricca busta paga da senatore (circa 12 mila euro netti al mese!). A 75 anni dalla prima riunione del Senato repubblicano ci pare, fino a prova contraria, una grande lezione di coerenza e serietà. Più di ogni altra parola, in uno scenario che a volte riserva sorprese di segno opposto e, da sempre, schiere di transfughi.

Comportamenti disdicevoli con il più classico dei “salti della quaglia” pur di conservare il posto, in Parlamento come negli ultimi dei consigli comunali. In tanti anni di professione giornalistica ci è capitato in rare occasioni di registrare scelte come quella di Cottarelli. Ne ricordiamo una, a Gallarate. Protagonista il Verde Valerio Lavazza, un ambientalista locale che, in disaccordo con il suo partito, decise di uscire di scena con una motivazione esemplare: “Sono stato eletto da persone che la pensavano in un certo modo, tradirei la loro fiducia se restassi in consiglio un minuto di più”. Nessuno ne parlerà mai, ma l’onestà intellettuale di piccoli o grandi, sconosciuti o famosi, rappresentanti istituzionali vale molto, ma molto più di una canzonetta, seppure entrata nella tradizione musicale e nell’immaginario collettivo nazionale da irrompere persino in uno dei “santuari laici” del nostro Paese.

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