Il “non voto” della Lega conferma le tensioni nel centrodestra in Regione

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MILANO – Qual è il senso (politico) del non voto della Lega in consiglio regionale alla proposta di dedicare Malpensa a Silvio Berlusconi? Ordine del giorno che, appunto, raccomanda l’intitolazione dello scalo varesino al fondatore di Forza Italia, e che verrà sottoposto al governo e ad Enac per le relative determinazioni. L’ha presentato un gruppo d’opposizione, Lombardia Migliore di Letizia Moratti, ed è stato approvato anche da Fratelli d’Italia e, manco a dirlo, dai consiglieri azzurri. La Lega si è chiamata fuori.

Soltanto un malinteso

“Un malinteso” spiegano dal Pirellone, cercando di sdrammatizzare l’accaduto e la conseguente divisione della maggioranza di centrodestra. “Non c’entra il merito della questione: Berlusconi non si discute” incalzano i leghisti dell’assemblea lombarda. Dove c’è chi spiega e riconduce il patatrac ad accordi che, in un primo tempo, dovevano sfociare in un “no” collettivo dei partiti di giunta, ma soltanto per non dare un vantaggio politico ai morattiani. Successivamente l’intesa è cambiata, tanto che persino Matteo Salvini avrebbe dato il proprio consenso al voto positivo. Ma qualcosa non ha funzionato nella comunicazione interna, e i leghisti sono rimasti alle decisioni iniziali. Smentendo di fatto anche il loro leader nazionale.

Chi vuole comandare

Vero? Falso? Qualche dubbio appare scontato alla luce delle voci delle tensioni che, nei giorni scorsi, avrebbero indotto gli assessori di Fratelli d’Italia a disertare la riunione dell’esecutivo. Che Attilio Fontana ha convocato ugualmente, deliberando addirittura, in assenza dei rappresentanti di Giorgia Meloni, l’intitolazione del Belvedere di Palazzo Lombardia proprio a Silvio Berlusconi. Un tira e molla dietro al quale farebbe capolino una faccenda di equilibri, di pesi e contrappesi politici del dopo elezioni. Fratelli d’Italia e Lega contrappongono le rispettive necessità (velleità?) di stabilire la linea, in forza dei numeri più o meno equivalenti: se i meloniani hanno vinto il confronto elettorale, e sono oggi il partito di maggioranza relativa, la Lega somma ai suoi voti quelli di Lombardia Ideale, la lista che fa capo direttamente al presidente Fontana, e accorcia di molto le distanze. Risultato: tutti vogliono la loro quota di potere. E comandare.

La serenità che non c’è

Tutto ciò, scrivono alcuni giornali, avrebbe fatto inalberare proprio Fontana, stanco di gestire una situazione di malumori interni quando, al contrario, ci sarebbe bisogno di una maggiore concretezza. Ma i nuovi assetti politici dell’Aula, per arrivare a chi aveva un ruolo e oggi ne ha un altro di minore importanza, finiscono per minare la serenità generale. E offrire spunti critici all’opposizione, che ha gioco facile nel sottolineare le divisioni della maggioranza. Uno scenario al quale Fontana non ci sta. Naturalmente non è il caso di parlare di crisi politica dell’esecutivo di Palazzo Lombardia, ma di questo passo i presupposti ci sono già tutti. Benché, è evidente, a nessuno conviene oggi aprire pubblicamente uno scontro che la gente non capirebbe. E che non sarebbe di facile soluzione.

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